Sono in media tre al giorno le aggressioni denunciate in Italia dagli operatori sanitari (dati Inail): soltanto nell’ultimo anno, le violenze denunciate ammontano a 1.200 casi, di cui 456 hanno riguardato gli addetti al Pronto soccorso, 400 si sono verificati in corsia e 320 negli ambulatori. "E questa è solo la punta dell’iceberg, in quanto molti medici e infermieri non denunciano, per pudore, per vergogna, per timore di ritorsioni, perché ci si è abituati alla violenza, o per poter finire il turno e non lasciare i pazienti senza assistenza". A ricordarlo è il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, raggiunto dalla notizia delle due aggressioni avvenute ieri al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma.
Qui due medici, in momenti diversi, sono stati aggrediti verbalmente e strattonati da pazienti che lamentavano tempi d’attesa troppo lunghi per essere visitati. Uno dei due professionisti ha riportato una contusione alla spalla guaribile in dieci giorni. "Una recente indagine da noi condotta tramite un questionario aperto a tutti i medici italiani ha rilevato che, nell’anno precedente, un professionista su due aveva subito un’aggressione verbale, quattro su cento violenza fisica, con gravi conseguenze sulla loro salute psicofisica e ricadute sulla loro performance professionale - spiega Anelli - Per questo affermiamo che 'chi aggredisce un medico aggredisce se stesso', e che la mancanza di sicurezza e ordine pubblico presso i pronto soccorso e i presìdi ambulatoriali di guardia medica, facendo decadere le garanzie per un servizio di qualità, può arrivare a inficiare il diritto fondamentale alla tutela della salute sancito nell'articolo 32 della Costituzione".
L'APPELLO A SALVINI- "Basta con la violenza contro i medici! Gli operatori sanitari non devono scontare il prezzo di cattive organizzazioni, carenze strutturali, financo dello sdoganamento di comportamenti aggressivi e prevaricatori che sembrano ormai socialmente accettati. Risulta urgente l'adozione di valide soluzioni volte a garantire la sicurezza dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari e, di conseguenza, dei cittadini". È arrabbiato, oltre che amareggiato, il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, raggiunto dalla notizia delle due aggressioni avvenute ieri al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma.
Anelli lancia una richiesta d’intervento al ministro dell'Interno Matteo Salvini, chiedendo "l'istituzione di presidio fisso di polizia in ogni pronto soccorso". "Ribadiamo - afferma infatti Anelli - la necessità di istituire un presidio fisso di polizia in ogni pronto soccorso, al fine di garantire la sicurezza, l’ordine pubblico e l'incolumità dei cittadini e degli operatori medico- sanitari - continua il presidente Fnomceo - Rivolgiamo in tal senso un'esplicita richiesta d’intervento al ministro Salvini nell’ambito del ddl Sicurezza attualmente all’esame del Senato. Rinnoviamo inoltre l'invito a tutto il Parlamento affinché voglia al più presto licenziare il Disegno di Legge d’iniziativa governativa numero 867, sulla Sicurezza degli operatori esercenti le professioni sanitarie. La disciplina di tale materia non può infatti più attendere". "Apprezziamo, dall’altra parte, la volontà del ministro della Salute Giulia Grillo di introdurre nuovi modelli organizzativi nel pronto soccorso", continua Anelli.
"Tale cambiamento, indubbiamente necessario e urgente, non può però prescindere dall’aumento di organico. In particolare, essendo il medico l’unico professionista che ha le competenze necessarie per fare una diagnosi e, di conseguenza, una prescrizione, non si può concepire nessun cambiamento organizzativo senza tenere in debito conto una congrua presenza di medici, anche assumendo gli specializzandi degli ultimi anni. Né si può pensare - prosegue Anelli - di demandare atti per loro natura non delegabili, quali appunto la diagnosi e la prescrizione, ad altre figure professionali o ad algoritmi". "Ribadiamo pertanto la nostra richiesta di essere coinvolti in tutti i processi decisionali che riguardino queste nostre competenze e responsabilità, nell’ottica di sistemi sanitari che perseguano obiettivi di salute", conclude.