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'Medio Oriente a tre teste', ecco cosa si profila a Gaza

Un retroscena sulle strategie di sauditi e americani per il futuro della Striscia

Gaza  - (Fotogramma/Ipa)
Gaza - (Fotogramma/Ipa)
14 febbraio 2025 | 12.54
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Yusef Al Otaiba, ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli Stati Uniti, durante il World Government Summit di Dubai ha parlato del piano per Gaza su cui alcuni stati del Golfo hanno trovato un accordo a settembre, precisando che “al momento non vedo alternative”. Si tratta di uno scenario che l’Adnkronos può ricostruire dopo una serie di colloqui con analisti che conoscono bene lo scacchiere mediorientale. Il piano, immaginato contro il volere di Egitto, Qatar, Iran e Turchia, vedrebbe Gaza trasformata nello sbocco sul Mediterraneo dell’Arabia Saudita, con il benestare dei quattro clan storici della Striscia, mentre nella ricostruzione gli emiratini avrebbero un ruolo di primo piano.

Gli Stati Uniti, e questo è stato confermato da Trump aldilà delle frasi sulla Riviera che hanno scioccato il mondo, sono pronti a occuparsi di sicurezza e di sviluppo costiero, inclusi hotel e resort, ma in realtà Gaza sarebbe “promessa” ai sauditi da tempo, da prima del ritorno del tycoon alla Casa Bianca. L’idea, sempre secondo una ricostruzione non ufficiale, si sarebbe concretizzata il 14 aprile, il giorno dopo l’attacco iraniano contro Israele, tra alti funzionari di delegazioni d’affari presenti a Tel Aviv, inclusi alcuni sauditi.

Un altro elemento che va in questa direzione sono le nozze nel 2023 di Rajwa al Saif, figlia dell’aristocrazia saudita, con il principe ereditario Hussein di Giordania, un matrimonio strategico come quelli degli Asburgo e dei Borbone, che affida la sicurezza della Giordania ai sauditi, che nella loro 'Grand Strategy' puntano a essere i leader del Medio Oriente, pur riconoscendo a Israele un ruolo e all’Iran riformato un altro primato (più modesto). Lo chiamano “Medio Oriente a tre teste”.

La strategia di Trump

La strategia di Trump, senza scomodare le finestre di Overton, è sempre quella di sparare alto per poi chiudere su un risultato che la controparte ritiene accettabile, anche se fino a poco tempo prima era totalmente inaccettabile. In questo contesto, gli Stati Uniti non manderebbero soldati a Gaza (i contractor americani sono già in zona), ma farebbero da apripista per l’alleato saudita, che non può trattare direttamente la questione senza essere accusato di non rispettare le esigenze dei palestinesi. La cui causa da tempo non era al centro delle strategie dei governi della regione, molti dei quali erano pronti a unirsi agli Accordi di Abramo e a normalizzare i rapporti con Israele. L’Iran non poteva permettere una simile evoluzione, e dunque ha scatenato Hamas il 7 ottobre.

Cosa sta facendo l'Egitto

Ora che le ostilità sono cessate, l’Egitto ha schierato quattro volte il numero di tank consentiti alla frontiera dal trattato di pace con Israele. Non per attaccare, ma per bloccare quella che loro definiscono “potenziale invasione” palestinese. Re Abdallah di Giordania, che era alla Casa Bianca mentre Trump pronunciava le frasi sulla conquista americana di Gaza, ha un Paese la cui economia è in grande difficoltà, ed è pronto ad accogliere molti rifugiati in cambio di aiuti. L’elemento economico, come sempre, è il più importante: peggio della Giordania sono messi Siria, Libano e Yemen. La pacificazione del Medio Oriente è dunque in mano agli stati del Golfo che hanno la capacità finanziaria di riscrivere gli equilibri politici e commerciali della regione.

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