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Il punto di vista di Follini

Quirinale, Follini: "Presidente arbitro non giocatore"

Il punto di vista di Marco Follini

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23 gennaio 2022 | 10.00
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"Sia detto sottovoce e con il dovuto riguardo: tutta questa enfasi sul Quirinale sta diventando eccessiva e quasi ossessiva. Come se la disputa intorno al Colle, e l’indomani l’auspicata celebrazione del suo nuovo inquilino, fossero la panacea di tutti i mali della politica italiana. O all’opposto l’annuncio del loro dilagare ben oltre il livello di guardia.

C’è una drammaticità nella sfida ingaggiata dai partiti (e dai candidati) che mal si concilia con i limitati, ancorché strategici, poteri del capo dello Stato. Stando alle regole e alle consuetudini repubblicane egli infatti non è un dittatore in erba, e neppure un re taumaturgo, al modo dei sovrani medievali raccontati da Marc Bloch. Non architetta ardite operazioni politiche, non fa vincere le elezioni agli uni piuttosto che agli altri, non designa un presidente del Consiglio in modo capriccioso ed estemporaneo. Si presume che egli lasci le sue convinzioni fuori dai suoi uffici, e che si attenga a regole, tradizioni e costumi che non violano né la legalità dello Stato di diritto né le gerarchie sancite dai numeri elettorali prima e dai numeri parlamentari poi.

E anche quei presidenti che a suo tempo (molto tempo fa) vennero sospettati di voler alterare gli equilibri politici se ne ebbero più delusioni che altro. Sempre che qualcuno di loro abbia inteso davvero debordare dai confini assegnati - cosa della quale ancora si discute con più dubbi che certezze. A riprova della saggezza dei padri costituenti che al capo dello Stato attribuirono poteri strategici ma non esagerati, sottraendolo così a qualunque tentazione di travalicare i suoi stessi confini.

Non è un caso, del resto, che al Quirinale fossero destinate negli anni della prima Repubblica le rispettabili (e non troppo ingombranti) figure del notabilato dell’epoca. Distinti signori che avrebbero onorato la carica con la loro discrezione e che non avrebbero alterato più di tanto gli equilibri che i partiti -i veri dominus dell’epoca- disegnavano per loro conto. Con qualche eccezione, s’intende: Saragat, capo del suo partito, Segni capo della più forte corrente democristiana. Ma senza mai smentire più di tanto quella regola fondamentale che precludeva le strade del Colle ai leader più direttamente impegnati nella conduzione del gioco politico.

Ora, s’intende, qualcosa è cambiato. Mano a mano che il sistema politico s’è indebolito, è venuto per così dire naturale che un po’ del potere che s’era perduto dal lato dei partiti venisse a depositarsi sulle pendici del Quirinale. Salvo poi però andarsi ad incarnare in figure politiche considerate capaci di tenere a freno i ricordi e le suggestioni delle battaglie condotte lungo gli anni della loro attività e della loro militanza. Così è stato appunto per Mattarella, e prima di lui per Napolitano. E così prima ancora per Ciampi, che di politica in senso stretto non s’era mai voluto occupare prima.

Già, ma fin dove può arrivare questa tendenza? A questo punto noi sembriamo trovarci in bilico tra una storia e un racconto. O meglio, tra una tradizione e una fantasia. Da un lato c’è appunto quel lungo passato di discrezione presidenziale. E dall’altro c’è l’attesa di un futuro fin troppo immaginifico. Se si srotola il filo di questa attesa pare quasi che ogni destino del Paese e della politica debba poggiare sulla figura del prossimo presidente, quasi che nel frattempo noi fossimo davvero diventati una repubblica presidenziale. Facendo così provare ai segretari di partito l’ebbrezza di contare più di quanto non sia e ai grandi elettori l’illusione di scrivere una pagina di storia. Ma converrà ricordare che, almeno fino ad oggi, questa fantasia è sempre rimasta a mezz’aria, e tutti quanti ne siamo stati rassicurati.

Con questo non si vuole sottovalutare la portata della scelta che da domani il Parlamento è chiamato a fare. Solo sfrondarla un po’ di quegli eccessi di enfasi che finiscono per rendere più ardua la fatica dell’arbitro che verrà.

Dato appunto che si tratterà di un arbitro e non di un giocatore. Anche se magari fino a un attimo prima sarà stato il migliore dei giocatori in campo".

(di Marco Follini)

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