Il ministro dell'Interno a Lussemburgo per Affari Interni: "Non possiamo proporre una riforma che sarebbe destinata nei fatti a fallire"
"Non possiamo proporre una riforma che sarebbe destinata nei fatti a fallire, quindi nei termini in cui ci sono state presentate le ultime proposte negoziali" sul regolamento sulla gestione della migrazione e l'asilo e su quello delle procedure di asilo, l'Italia ritiene che "ci siano ancora molte cose da fare. Non voglio esprimere da subito una posizione nettamente contraria, ma su alcuni punti dobbiamo immaginare la possibilità di negoziare ancora su un sistema europeo sostenibile". Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, nel suo intervento a Lussemburgo al Consiglio Affari Interni Ue, dove è in discussione il Patto per le migrazioni e l'asilo.
La posizione del governo italiano, prosegue Piantedosi, è "una posizione di responsabilità, anche nei confronti dei cittadini italiani e di quelli europei". Per il ministro ci sono ancora "molte cose da fare". Per creare un sistema europeo "sostenibile, da attuare gradualmente", spiega, bisognerebbe partire "da una capacità adeguata ragionevole, che vorremmo quantificata in 20mila posti, con un moltiplicatore al massimo di due; qualcosa che riguardi il tetto annuale di capacità adeguata: riterremmo sufficiente la mera notifica per sospendere le procedure di frontiera obbligatorie". "Riteniamo inoltre necessaria - ha continuato - una maggiore flessibilità sull'applicazione del principio del Paese terzo sicuro, eliminando l'obbligo di verificare la sussistenza della connessione; sui termini di responsabilità, devo chiedere che quelli legati all'ingresso illegale debbano prevedere per i casi Sar 12 mesi, e non quegli altri più lunghi che sono stati proposti".
"In tutto questo - ha aggiunto - continuiamo a nutrire forti dubbi sul funzionamento pratico del sistema di ricollocazioni, incluse le compensazioni finanziarie, visto che finora non hanno funzionato. Infine, sarebbe essenziale prevedere una clausola di revisione del sistema dopo un anno, proprio per vedere se il sistema può funzionare o meno. Senza queste possibilità di rifinitura del testo ci risulterebbe molto difficile accettare un testo che apparirebbe a noi una forzatura della quale francamente non capiremmo le ragioni, se proposto nei termini in cui è stato proposto", conclude.
''Debbo registrare che, nell'ultimo anno, a fronte di un drammatico aumento dei flussi dal Mediterraneo centrale, la solidarietà europea nei confronti dei Paesi di primo ingresso si è tradotta nella redistribuzione di circa 1.500 persone complessive, ben al di sotto dei pur limitati impegni assunti'', ha aggiunto il ministro, sottolineando che quindi il sistema di redistribuzione è stato un fallimento. ''Ricordo questi fatti - ha aggiunto - perché si tratta di questioni che sono oggetto di fortissima attenzione nel mio Paese, dove è ancora viva la memoria della tragedia di Cutro e dove una località, come Lampedusa, da oasi naturale e turistica, nella percezione collettiva, si è trasformata in un centro di gestione di immigrati con pesantissimi danni al tessuto socio-economico locale''.
''Per affrontare il fenomeno migratorio non è, quindi, sufficiente avere nuove norme europee, ma occorre una forte azione esterna dell'Unione. Solo in questo ambito è, infatti, possibile trovare quelle soluzioni strutturali di cui abbiamo bisogno per prevenire i flussi e favorire i rimpatri. È proprio per questo che ho chiesto di avere oggi un punto sulla dimensione esterna e, in particolare, sulla situazione in Tunisia'', ha affermato Piantedosi.
Per l’Italia è cruciale mantenere alta l’attenzione sulla situazione tunisina, come testimonia la missione del presidente Giorgia Meloni, lo scorso 6 giugno, e la nostra richiesta di avere un punto specifico anche in occasione del prossimo Consiglio Europeo". Il ministro ha ricordato che la Tunisia è sempre più anche un Paese di transito dell'immigrazione irregolare, non solo di partenza.