Verso nuova fase a Gaza, lo scenario sulla tregua
"Stiamo facendo pressione" per la fine del conflitto tra Israele e Hamas. Lo ha detto ai giornalisti al suo arrivo a Milwaukee, nel Wisconsin, il presidente americano Joe Biden, parlando della possibilità di un nuovo accordo per una tregua nei combattimenti e per il rilascio degli ostaggi. Poi ha definito "tragica" la morte di 20mila palestinesi nella Striscia di Gaza, secondo l'ultimo bilancio fornito da Hamas, a causa delle operazioni israeliane.
Per americani ed israeliani il conflitto a Gaza ha raggiunto un punto di svolta, con la prossima fase che potrebbe comprendere una ripresa dei negoziati con Hamas per gli ostaggi, accompagnato da un cessate il fuoco di due o più settimane, seguito da un graduale ritiro delle truppe israeliane dal nord di Gaza. E' questo lo scenario che tratteggia David Ignatius, scrittore e commentatore del Washington Post sempre molto informato sui dietro le quinte della politica internazionale, secondo il quale le continue dichiarazioni pubbliche israeliane sul fatto che la guerra durare ancora "mesi" sono una tattica nei confronti di Hamas.
"I leader israeliani sanno che devono spostarsi ad una nuova fase del conflitto, anche solo per permettere ai riservisti di lasciare il fronte e tornare a fare i loro lavori", scrive ancora Ignatius, sottolineando che per quanto i piani israeliani siano "ancora confusi", di fatto hanno accolto la base dello scenario prospettato dall'amministrazione Biden. Questo prevede una Gaza dove Hamas non può più imporre la sua volontà politica, mentre altri palestinesi, probabilmente provenienti dall'Autorità Nazionale Palestinese, sono responsabili della governance, sostenuti da una forza di peacekeeping formata da Paesi arabi moderati "che odiano Hamas quasi quanto lo odia Israele, anche se non lo dicono a voce alta".
Questo organismo di transizione sarebbe di fatto "un'autorità di ricostruzione di Gaza", che si dovrà occupare del 'day after" nell'enclave in cui israeliani e americani sperano che i Paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, possano svolgere un ruolo chiave, fornendo soldi, leadership e legittimità per la ricostruzione.
L'amministrazione Biden sta facendo pressioni su Israele affinché si muova verso questa fase meno aggressiva al più presto possibile, già entro la fine dell'anno, per evitare altre vittime civili. Una posizione che è emersa durante le recenti visite in Israele del consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, e del capo del Pentagono Lloyd Austin. Il dipartimento di Stato ha preparato un documento di 20 pagine in cui ha dettagliato i passi fondamentali e le opzioni della fase post conflitto.
Benjamin Netanyahu ha resistito a queste pressioni, e da parte israeliana si parla di una transizione a gennaio, se non ancora più tardi. Ma "c'e' il riconoscimento della necessità di avviare una nuova fase", afferma Ignatius sottolineando che questa non significherà che i combattimenti non continueranno, soprattutto nel sud di Gaza.
"La situazione sul campo di battaglia a Gaza è lungi dall'essere risolta - continua - i comandanti israeliani credono che nel nord di Gaza i comandi e le strutture di controllo di Hamas sono state spaccate: le unità combattono, ma non sono in grado di comunicare con i leader politici e militari, Yehiya Sinwar and Mohammed Deif, che sono nascosti nel sud, probabilmente vicino Khan Younis". La loro uccisione è uno degli obiettivi principali di Israele, ma la questione è complicata anche dal fatto che "probabilmente i due leader si sono circondati degli ostaggi rimasti", ponendo Israele di fronte "al dilemma, tra polverizzare Hamas e salvare gli ostaggi".
In quest'ottica il tentativo di riprendere i negoziati con Hamas, attraverso il Qatar, per la liberazione degli ostaggi, per il quale gli israeliani stanno considerando un esteso cessate il fuoco, forse di due settimane, per permettere ad Hamas di riunire gli ostaggi e consegnarli. Ed è anche quindi possibile che Israele si possa impegnare a ritirare le sue truppe, ma vuole la libertà di farlo in modo graduale.
Intanto, una cosa su cui Usa e Israele appaiono d'accordo è la necessità di passi urgenti contro la crisi umanitaria a Gaza, anche per ridurre l'ondata di critiche internazionali contro Israele e "la sua super potenza protettrice" per le quasi 20mila vittime palestinesi. Anche perché si è fatto reale il rischio di epidemie di colera ed altre malattie nella Striscia dove l'85% dei suoi 2 milioni di abitanti è sfollato, senza acqua e servizi igienici.
Dall'inizio del conflitto, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, gli israeliani hanno spinto i civili palestinesi a muoversi da nord verso sud, ma ora che il sud sta diventando il campo principale di battaglia, gli israeliani stanno pensando di creare quelle che definiscono "isole umanitarie" nel nord, spingendo i civili palestinesi a muoversi in senso contrario.