La visita del vicepremier Salvini e il messaggio che ha lanciato sono stati identificati con l'azienda
Boicottare un prodotto o un'azienda è una cosa seria. E' una forma di protesta legittima e molto diffusa, da sempre e a maggior ragione nell'era virale dei social network. Boicottare la pasta Rummo per la visita del ministro e vicepremier Matteo Salvini è però un paradosso che la comunicazione social rende un caso di scuola. Il tema principale è la semplificazione estrema del messaggio che passa rispetto alla complessità, pure minima, dei fatti.
Sintetizzando, cosa è successo? Il ministro delle Infrastrutture e Vicepremier Matteo Salvini è andato in visita allo stabilimento di Benevento del pastificio Rummo. Come successo migliaia di altre volte con altri rappresentanti di governo e altrettante aziende. Salvini e il suo staff hanno utilizzato la visita per raccontare via social network quello che avevano interesse a raccontare, partendo dal messaggio politico che può nascere in uno stabilimento che produce pasta italiana: contro chi sostiene la farina di insetti, contro chi a Bruxelles combatte la dieta mediterranea, viva la nostra pasta. Evviva l'Italia, evviva la nostra qualità. Uno spot, con l'accento della propaganda, che riassume quello che Salvini ha sempre sostenuto. Le parole dette in questa circostanza, scandite con la cuffia e il camice di fronte alle macchine che producono la pasta, hanno però avuto l'effetto di innescare una protesta virale, che ha preso le sembianze di un boicottaggio vero e proprio, contro la pasta Rummo.
Quale responsabilità ha Rummo rispetto al messaggio di Salvini? Nessuna, o quasi. E' un interesse legittimo quello di un'azienda di ospitare rappresentanti istituzionali nel proprio stabilimento, in nessun modo l'azienda avrebbe potuto impedire che il ministro facesse la sua comunicazione social, non c'è un legame oggettivo tra quello che dice Salvini e l'attività o il posizionamento dell'azienda. C'è però una connessione che riguarda la reputazione. La 'shitstorm', la protesta o il boicottaggio, nascono perché la comunicazione social semplifica i fatti, fino a identificare Salvini come un testimonial di Rummo e quindi Rummo come un 'sostenitore' delle tesi di Salvini. L'unico modo per evitare questo rischio, incontrollabile nella sintassi e nella grammatica della Rete, è evitare di ospitare rappresentanti della politica ed esponenti di governo nei propri stabilimenti. Una impostazione drastica che preserva da qualsiasi contaminazione ma che è spesso ritenuta incompatibile con le corrette relazioni istituzionali.
Ma quali sono le conseguenze di un caso del genere? Si torna al punto di partenza. Boicottare un'azienda o un prodotto non vuole dire solo ammassare commenti negativi sotto un post. E neanche solo provocare un danno di immagine. L'invito a non scegliere un prodotto o un marchio perché ha tradito la fiducia dei consumatori può avere conseguenze serie sulle aziende e sulle persone che ci lavorano. E' una 'punizione' severa che va a colpire chi ha commesso un errore, chi ha una responsabilità, chi assume posizione sbagliate e considerate intollerabili. Nel caso di Rummo, non può bastare aver ospitato Salvini e aver fatto da sfondo a un esercizio di propaganda politica. (Di Fabio Insenga)