Pesano anche la comunicazione e il carisma nella reazione dei mercati
I mercati reagiscono male all'annuncio di un rialzo dei tassi e, soprattutto, al peggioramento delle prospettive economiche. Le decisioni della Bce hanno un peso oggettivo, ma anche la comunicazione e il carisma di chi le prende incidono. Christine Lagarde non è Mario Draghi, come è evidente già da tempo. Ma l'inizio di una nuova stagione per la politica monetaria, che va verso una stretta decisa, porta con sé una serie di conseguenze rilevanti per i Paesi più esposti alla speculazione, come l'Italia.
Il rialzo dello spread è un segnale chiaro. E le parole spese in passato dall'attuale presidente della Bce ricordano che l'aria a Francoforte è profondamente cambiata. Lagarde lo diceva già a marzo 2020, con una precisione che lasciava poco spazio alle interpretazioni, “Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per questi problemi”. In questo approccio c'è tutta la differenza con il suo illustre predecessore, il Draghi del whatever it takes, capace di rassicurare con una frase e di girare il mood delle sale operative con un impegno insieme istituzionale e personale.
Oggi la Bce di Lagarde ribadisce che il suo compito non è quello di preservare la stabilità finanziaria dei singoli Stati membri. E il contesto fa il resto. La fine degli acquisti del Qe dal 1 luglio; il primo rialzo dei tassi, da 25 punti base, alla prossima riunione del consiglio direttivo, il 21 luglio; un secondo rialzo a settembre, di dimensioni che "dipenderanno dalle riviste prospettive dell’inflazione". Ce n'è abbastanza per trasmettere il messaggio che è finita la copertura della Bce, che consentiva una navigazione in acque protette, e che da oggi in poi sarà necessario fare in conti con una navigazione in mare aperto.
La differenza sostanziale tra Lagarde e Draghi non è solo nelle competenze e nel peso politico. E', soprattutto, nell'interpretazione del ruolo di presidente della Bce. Siamo di fronte al rischio concreto di una nuova crisi economica globale e c'è una risorsa sostanziale in meno. Nelle precedenti crisi economiche globali (2008 e 2011) a Francoforte c'era un uomo capace di 'forzare' i rigidi limiti imposti dallo Statuto della Bce, che individua nella stabilità dei prezzi l'obiettivo primario, sconfinando spesso e volentieri nel sostegno alla crescita e all'occupazione e non rinunciando, quando necessario, a richiamare all'ordine i governi responsabili delle politiche economiche. Un'interpretazione estensiva, spesso conquistata con ruvide battaglie in Consiglio, che oggi non è immaginabile.
Oggi l'Italia ha Draghi alla Presidenza del Consiglio, con una legislatura agli sgoccioli e con una maggioranza tanto larga quanto conflittuale. E non ha più alla Bce la sponda di un presidente capace di proteggerla. Non perché Christine Lagarde non sia un presidente all'altezza ma perché Lagarde si limita a svolgere il suo ruolo, secondo mandato. Lagarde non è Draghi. E questo per l'Italia può diventare un problema.
(di Fabio Insenga)