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Storico Finkel: "Stragi di civili in Ucraina sono genocidio perché colpiscono l'identità nazionale"

Per il professore di affari internazionali alla Johns Hopkins University, "il numero di assassinii di questo tipo è largamente superiore a quello raggiunto a Srebrenica del 1995. Nato, Usa e Gran Bretagna non utilizzano il termine 'genocidio' perché l’opinione pubblica si aspetterebbe, come passo successivo, l'azione militare"

 - Proteste a Londra dopo il massacro di Bucha (Fotogramma)
- Proteste a Londra dopo il massacro di Bucha (Fotogramma)
11 aprile 2022 | 12.32
LETTURA: 3 minuti

I crimini commessi dai russi in Ucraina, le stragi di civili a Bucha e nelle altre città, che con il passare dei giorni si vanno scoprendo, sono parte di un tentativo genocida di Putin. Ne è convinto Eugene Finkel, storico e professore di affari internazionali alla Johns Hopkins University, che spiega all’Adnkronos quale sia, a suo avviso, l’intenzione del presidente russo, “passato dall’obiettivo originario di distruggere lo Stato ucraino, sostituendo il governo filoccidentale con uno filorusso, a quello successivo di annientarne l’identità nazionale”. Putin avrebbe ‘ripiegato’ in questa sua ‘seconda scelta’, passando dal fine 'colonialista' a quello genocida, “dopo la reazione della Nato e dell’Occidente all’invasione, ma anche per le pressioni interne”.

Finkel ricorda la definizione ufficiale di ‘genocidio’ data dall’Onu nel 1948: “Si tratta di atti commessi con l’intento di distruggere gruppi nazionali, etnici, religiosi, razziali. Il tipo di genocidio che si sta compiendo in Ucraina rispecchia l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale. L’agenzia di Stato russa Ria Novosti - ricorda - ha scritto che l’Ucraina è uno stato artificiale e non ha il diritto di esistere. L’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo Medvedev ha detto che lo scopo della operazione militare in Ucraina è la sua ‘denazificazione’. Ma in realtà ciò che stanno portando avanti, colpendo l’identità ucraina, distruggendo libri e la lingua, è la ‘deucrainizzazione’. Questo intento è del tutto evidente. Lo dimostrano le azioni contro i civili, dove in molti casi vengono colpite persone associate all’identità ucraina, come insegnanti, amministratori statali, coloro che sono stati arruolati in passato nell’esercito anche se attualmente non ne fanno più parte, e chiunque sia identificato come riferimento dell’identità nazionale. Il tentativo è di distruggere anche in parte questi gruppi, così come avvenne in Jugoslavia, a Srebrenica, dove 7.000 bosniaci musulmani furono uccisi nel 1995, omicidi che sono stati classificati dal Tribunale internazionale dell’Onu come crimini riconducibili al genocidio. Sono abbastanza certo che in Ucraina il numero degli assassinii di questo tipo sia largamente superiore”.

Alcuni giorni fa la Ria Novosti aveva pubblicato un editoriale intitolato ‘Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina’, nel quale era scritto che "l'Ucraina è impossibile come stato nazionale" e persino il suo nome "apparentemente non può essere mantenuto"; l'élite nazionalista ucraina "deve essere liquidata, la sua rieducazione è impossibile". Tutte frasi che - non dovessero bastare le stragi portate ad esempio - Finkel prende a supporto delle proprie tesi sulle intenzioni genocide della Russia. Ma perché, allora, Nato, Usa e Gran Bretagna non usano esplicitamente il termine genocidio? “Perché facendolo – spiega lo storico – ci sarebbe una pressione anche da parte dell’opinione pubblica per un intervento militare diretto. Ecco perché c'è una certa resistenza nell’utilizzare questo termine. Ma le cose potrebbero cambiare. Nella Convenzione del 1948 non si parla di automatismo di un intervento bellico in caso di genocidio, però, nel momento stesso che usi questa parola, l’opinione pubblica si aspetta che il passo successivo sia l'azione militare”.

(di Cristiano Camera)

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