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Ranucci: "Sotto tutela dal 2009 ma ora non sono tranquillo"

Il conduttore di 'Report' parla all'Adnkronos, dopo che il suo account bancario è stato violato: "In mail dell'azienda arrivano denunce di chi chiede l'anonimato, e ora?"

(Fotogramma/Ipa)
(Fotogramma/Ipa)
16 novembre 2019 | 14.27
LETTURA: 3 minuti

di Veronica Marino

Dal 2009 sono sotto tutela. La mia abitazione è sorvegliata ciclicamente dai carabinieri ma ora sapere che c’è chi sa esattamente dove abito con la mia famiglia non è una cosa che mi fa sentire tranquillo”. Lo dice all’Adnkronos il conduttore di 'Report' Sigfrido Ranucci dopo l’operazione di hackeraggio che ha ‘bucato’ il suo account bancario e quindi tutte le sue utenze aziendali, inclusa mail e informazioni sulla sua vita privata.

“Spero di essere solo la protesi di una incursione fatta anche a danno di altri cittadini, anche se è avvenuta in un contesto particolare, in un momento particolare. Una coincidenza che deve necessariamente farmi aprire gli occhi – scandisce il giornalista - Detto questo, se qualcuno ha tentato di fare questa operazione solamente per cercare di hackerare la dedizione al lavoro, mia e della squadra di 'Report', ha sbagliato. Non ci facciamo infettare da questo virus che punta a minare la nostra passione per il lavoro”.

“'Report' - riflette Ranucci - è un nodo nevralgico dove passano dati sensibili, contatti con le fonti, dove arrivano richieste legali, dove scambiamo informazioni con gli avvocati che ci devono difendere. Tutto questo rende molto più difficile l’esercizio di giornalismo di inchiesta per una trasmissione che è continuamente già sotto lo scacco di richieste milionarie di risarcimento danni. Noi abbiamo avvocati che si sono dimostrati integerrimi negli anni, bravissimi a difenderci, ma se un domani qualcuno, conoscendo la nostra rete di legali e consulenti, potesse arrivare a leggere le nostre strategie difensive, sarebbe una situazione rischiosissima per noi e per le fonti”.

Noi riceviamo 75.000 segnalazioni ogni anno di persone che denunciano chiedendo l’anonimato – racconta Ranucci - Se Report, invece, diventasse incapace di preservare il loro anonimato, ci sarà ancora voglia da parte delle persone di continuare a denunciare sulle mail aziendali?”.

“Non ho gli elementi per valutare se questo attacco al mio account bancario sia conseguenza delle inchieste che ho fatto – dice il conduttore di Report – ma quello che è certo è che non mi sfugge la coincidenza, sebbene io non voglia credere che sia legato alle inchieste. Anzi, io vorrei che quanto accaduto fosse valutato come l’esempio della vulnerabilità della nostra democrazia. E questo, a tutela di tutti i cittadini. Naturalmente in questo momento a me viene in mente la possibilità di essere più vulnerabile quando contatto una fonte, o tratto informazioni sensibili. E questo mi rende più fragile”.

Il mio indirizzo mail dialoga con altre mail e di conseguenza è possibile ricostruire facilmente la mia rete di contatti – fa notare Ranucci - Quanto accaduto a me è comunque la fotografia di una patologia che stiamo vivendo nella democrazia digitale”.

“Tutti sappiamo che la situazione è questa – chiarisce il giornalista - ma continua a succedere. Se nonostante sia facile ‘bucare’ una banca, ci viene imposto per legge di dare alle banche tutte le informazioni sulla nostra privacy, se c’è una legge in base alla quale i nostri dati devono essere tutelati ma poi qualcuno da remoto può entrare nei gangli della nostra vita privata, beh questo ci preoccupa più o meno, a seconda del ruolo che noi abbiamo”.

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