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Caregiver figura centrale, serve welfare personalizzato che metta la persona al centro

Caregiver figura centrale, serve welfare personalizzato che metta la persona al centro
12 luglio 2024 | 18.53
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La figura del caregiver è centrale per quanto riguarda l’assistenza dei più fragili. Una considerazione che sembra ovvia ma che porta con sé una serie di importanti riflessioni, necessità e traiettorie da percorrere che sono state discusse al convegno Adnkronos Q&A “La cura delle persone” organizzato al Palazzo dell’Informazione a Roma, nell’ambito del canale verticale Demografica che si occupa di persone, trend, genitorialità e parità di genere.

E quello che occorre è un welfare personalizzato, ha sottolineato in apertura nel suo intervento Luana Zanella, vicepresidente della Commissione Affari Sociali alla Camera dei deputati, che ha ricordato come proprio in questi giorni sia stata avviata una serie di audizioni su varie proposta di legge che riguardano la figura del caregiver.

“Una figura che deve essere normata e riconosciuta per quella che è la realtà”, ha evidenziato la parlamentare spiegando: “Ad esempio non è detto che debba essere convivente con la persona che accudisce, perché si può benissimo avere una famiglia da gestire e doversi comunque occupare anche di qualcuno, facendo le notti o per qualsiasi esigenza”. Anzi, sottolinea la deputata, nella maggior parte dei casi il caregiver non convive con l’assistito “per cui per cui se nella legge non viene indicato il fatto del non convivenza, questo comincia a essere un problema”.

Un welfare personalizzato e basato sulla realtà delle cose dunque. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Zanella, è imprescindibile disporre di risorse economiche: “E’ soprattutto al momento della legge del bilancio che si affrontano questi temi, che se non sono accompagnati da un impegno preciso a livello di governo, e quindi a livello di risorse disponibili, sono degli impegni che rimangono un po’ una voce nel vento”.

Quindi, ha continuato, “ci apprestiamo ad affrontare questo tema delle risorse sia per il sistema sanitario sia per tutte le politiche indispensabili per fronte alla cura che è sempre più impattante anche sul benessere delle famiglie, sia dal punto di vista esistenziale sia dal punto di vista economico”.

Ma c’è un secondo punto imprescindibile: “la cooperazione tra i vari livelli. Non bastano le risorse disponibili, queste vanno anche integrate” e dunque la direzione non è, come è pure successo, sottrarre soldi ai Comuni, ma anzi procedere in senso opposto.

La Riforma per la disabilità: il Progetto di vita

Sul tema del convegno, e sulla necessità di partire da quella che è la realtà vissuta da caregiver e assistito, è intervenuta anche Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, che ha inviato un video in cui ha sottolineato come il caregiver sia una persona che ama e cura e non voglia essere sostituito nel suo ruolo, ma accompagnato nel percorso. Invece, soprattutto in seguito al grande dramma sanitario che è stato la pandemia da Covid, molto spesso queste persone si sono sentite e si sentono abbandonate e sole nella complessità della situazione e nella carenza di servizi.

“Dobbiamo essere in grado di ristrutturare servizi che possano andare incontro alle esigenze di sollievo ma anche quelle temporanee del familiare, che ad esempio può avere un imprevisto”, ha affermato Locatelli. E se è necessario, come lo è, ripensare servizi e supporti, diventa “indispensabile una cornice normativa con tutele differenziate e crescenti, con un caregiver principale e altri caregiver che comunque si occupano” dell’accudito.

La svolta, il punto di cambiamento e di non ritorno, ha spiegato la ministra, è la Riforma della disabilità e il previsto ‘Progetto di vita’. Una sperimentazione che comincerà il primo gennaio 2025 in nove province già individuate. Si parte “obbligando le istituzioni a sedersi intorno a un tavolo, quindi a muoversi loro per andare a parlare con la persona con disabilità, che deve essere al centro a partire dai suoi desideri, in condivisione con la famiglia per scrivere il progetto di vita, che non è altro che la risposta a bisogni che sono socio-sanitari e assistenziali ma anche sociali, e che non possono essere più frammentati perché la persona è un tutt’uno e ha bisogno di tutto mentre ancora oggi le persone ricevono risposte e prestazioni frammentate”.

“Al primo posto – ha proseguito – deve esserci sempre il rispetto di quella vita in termini di relazioni, affetti, di dimensione anche sociale, sia che si tratti del contesto abitativo o di quello ospedaliero, sia che la persona abbia in qualche modo una dimensione della vita più partecipata”.

Il tema del lavoro

Poi c’è il tema del lavoro: come ricordava anche Zanella, anche Locatelli ha sottolineato come ci siano ancora “tantissime situazioni, per la maggior parte si tratta di donne, in cui il caregiver lascia il proprio posto il lavoro per poter accudire i propri cari, che siano figli o genitori o altri parenti. C’è ancora tanta difficoltà nel mondo del lavoro a garantire una elasticità, a trovare quel compromesso chiamato nella Riforma per la disabilità ‘collocamento ragionevole’, per garantire alle persone di poter svolgere o il proprio lavoro in caso di disabilità oppure di poter accudire la persona cara continuando a poter mantenere uno stipendio”.

Quello che è necessario, ha concluso la ministra, è un “cambio di sguardo e di prospettiva che parte dal vedere le potenzialità e i nomi i limiti della persona”. Un punto fondante anche per il prossimo G7 su inclusione disabilità che si svolgerà per la prima volta in Italia e sotto la Presidenza italiana, a ottobre in Umbria.

E di lavoro ha parlato anche Chiara Gribaudo, presidente Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, che ha sottolineato come l’aumento dell’occupazione delle donne sia un altro aspetto centrale. Sia perché nell’ambito del settore della cura sta tornando ad aumentare la zona grigia del lavoro, sia per una questione di tipo economico: l’occupazione femminile non è solo una questione di parità opportunità ma anche di crescita del Paese.

“La legge 162, votata all’unanimità dal Parlamento, viene sempre ricordata per la parità salariale ma chiede anche i dati per capire la crescita delle donne sul lavoro. Ora sono passati i due anni previsti, perciò presenteremo alla ministra delle Pari Opportunità la richiesta di avere questi dati”, ha fatto sapere Gribaudo aggiungendo che “non servono sussidi da medioevo come quelli proposti da Gasparri o l’attuale welfare novencentesco per le donne, ma investimenti a lungo termine, e serve che le donne possano esprimere il proprio talento e quindi lavorare”.

“Chi lavora fa anche più figli e l’italianità o presunta tale si sostiene con i servizi innanzitutto: eppure il governo ha tagliato per gli asili nido”.

La cura come strumento di libertà

Una nota meno pratica ma di grande rilevanza l’ha portata infine Antonio Guidi, componente Commissione affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale Senato, ex ministro per la Famiglia e oggi attivo sui temi della disabilità.

Guidi ha invitato a riflettere sul concetto stesso di cura, diverso da quello di ‘guarire’: “Non bisogna avere l’ansia di guarire. Guarire da che? L’importante è dare la certezza laica di curare. Guarire magari, ma non è un obiettivo certo. Sì, se è una cosa semplice, ma quando hai patologie incurabili ovvero inguaribili, il nostro compito è non far sentire sola la persona che, diciamo così, soffre”.

“L’importante è la leggerezza, il rapporto paritetico tra chi cura e chi viene curato. La cura deve servire a chi sta male ad aumentare l’autodeterminazione, la possibilità di decidere la propria vita. Cerchiamo di aumentare la libertà nostra e delle persone che curiamo”, ha affermato.

E ha chiuso con una provocazione: “La nostra Costituzione è molto bella ma quando è così inapplicata – non inapplicabile ma inapplicata – siamo sicuri che sia perfetta? Allora rendiamola più cafona ma applicabile”.

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