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Saman Abbas, ergastolo per i genitori della 18enne: 14 anni allo zio, assolti i cugini

La giovane è stata uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021

Il padre di Saman Abbas in Aula al processo (Fotogramma)
Il padre di Saman Abbas in Aula al processo (Fotogramma)
19 dicembre 2023 | 18.15
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Ergastolo per Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, 14 anni di reclusione per Danish Hasnain. Assolti per non aver commesso il fatto Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq. Così ha deciso la Corte di Assise del Tribunale di Reggio Emilia che, dopo 5 ore di consiglio, oggi 19 dicembre, ha pronunciato la sentenza di primo grado del processo per l’omicidio di Saman Abbas. A distanza di due anni e mezzo dal fatto, i genitori della 18enne uccisa a Novellara, sono stati riconosciuti colpevoli dell’omicidio, come lo zio. Per i primi è stata riconosciuta la sola aggravante del rapporto di discendenza, mentre è caduti per tutti quella della premeditazione. Assolti i cugini, per i quali la Procura aveva chiesto 26 anni.

Vane, dunque, le lunghe dichiarazioni spontanee rese da Shabbar Abbas in aula. Il padre della vittima ha parlato per un’ora e quarantuno minuti davanti al presidente del tribunale emiliano Cristina Beretti. Un fiume in piena interrotto solo per un breve istante, sul finale, dalle lacrime scese pensando alla “dura vita in carcere” dove gli altri detenuti lo chiamano “cane, un cane - ha detto - che ha ucciso sua figlia”. Ha parlato restando seduto, il padre di Saman. Affiancato dall’interprete mai scomodata, si è rivolto alla Corte dicendo di voler dire “tutta la verità” dopo “tante parole false” sentite. Ha iniziato partendo da se stesso, “Non è vero che sono una persona ricca, che sono legato alla mafia, che ho ammazzato qui o in Pakistan né che sono andato a casa di Saqib a minacciarlo. Falso - ha continuato - che io abbia ammazzato mia figlia e sia scappato via, che il 29 aprile abbia scavato una buca, che abbia portato lo zaino a casa dopo averla lasciata in campagna”.

Ed è allora che allarga il discorso, raccontando una storia diversa da quella emersa fino a oggi. “Sono venuto in Italia con la mia famiglia a luglio del 2016 - ha detto - I bambini, dopo 1 o 2 mesi, hanno cominciato ad andare a scuola, spesso li portavo io e qualche volta andavano soli. Saman non voleva però prendere il treno, mi ha chiesto di comprarle una macchina ma senza la patente le ho risposto che non avrebbe potuto guidarla e mi ha risposto che allora non voleva andare a scuola”. Si difende, Shabbar, dalle accuse di non aver dato il permesso alla figlia di andare a scuola perché femmina. Non voleva andarci lei, secondo il padre, per questo le aveva messo a disposizione un computer che lei usava per collegarsi su Skype e studiare.

Ed è a questo punto che rinforza la sua posizione e rassicura la Corte: “Non voglio dire bugie, ne ho sentite troppe qui”. A dirle è stata Saman: “Ha detto bugie e mi fa male che lo dicano”. E ha mentito anche l’altro figlio, Ali Heider. “Non può aver visto nulla, era buio”, dice Shabbar riferendosi alle dichiarazioni rese in aula dal ragazzo, convinto di aver visto la sera del 30 aprile 2021 lo zio, Danish Hasnain, afferrare per il collo la sorella per portarla dietro alle serre, seguito dai cugini Ikram Ijaz e Nomanulaq Nomanulaq.

E torna a focalizzarsi su stesso. “In vita mia non ho mai picchiato nessuno”. Falso, secondo il padre della vittima, anche il matrimonio combinato. “Nel 2019 siamo andati in Pakistan e alcuni giorni dopo mio cugino mi ha detto che voleva portare a casa sua mia figlia - racconta - Lei era ancora una bambina. Così gli ho risposto che volevo pensarci, che mi serviva tempo. Sono state Saman e mia moglie, 15/20 giorni dopo, a dirmi che per andava bene”.

Akmal, il cugino che avrebbe voluto sposare Saman ancora minorenne “non era così più grande di lei come è stato scritto - precisa Shabbar - Ha 4 anni in più di lei. E d’altronde non avrei mai voluto un vecchio accanto a mia figlia. La sua famiglia sta bene, ha casa e terra, tutto quello che serve per vivere. E poi - sottolinea - è il mio stesso sangue”. “Erano tutti contenti, Saman era contenta - dice ancora il padre, per il quale la Procura ha chiesto l’ergastolo - Se mai Saman mi avesse detto una volta che non voleva sposare quel ragazzo, avrei annullato tutto. I genitori non pensano mai male per i figli, come non l’ho fatto io. Gli volevo bene, ho sempre lavorato in campagna, non ho mai rubato. Sono una persona povera, ho iniziato casa nel 2015 e ancora non è finita. Una persona ricca l’avrebbe fatta subito, e un mafioso non viene in Italia a lavorare”.

È a giugno, precisamente il 12, che “è iniziato il casino” spiega il padre di Saman. Quello è il giorno della fuga della figlia in Belgio. “Ero in campagna - ricorda Shabbar - mia moglie mi raggiunse per dirmi che non trovava più nostra figlia, che se n’era andata portandosi via 8mila euro e l’oro che avevamo in casa. Ho guardato le telecamere, ho preso la bici per andare a cercarla e alla fine mi sono rivolto ai carabinieri di Novellara. Ho avuto paura e ho chiamato il ragazzo con il quale era in contatto e che in inglese mi ha detto di non sapere dove si trovasse Saman. Una settimana più tardi mia figlia mi ha chiamato, piangeva e mi ha chiesto di farle un biglietto per tornare in Italia perché lì non stava bene. Andò mio fratello maggiore, Faqar, a prenderla- dice Shabbar - Sapevano tutti in famiglia che Saman era fuggita e abbiamo giurato sul Corano che nessuno ne avrebbe fatto parola”. E da lì il tentativo di tornare alla “normalità”.

Secondo Shabbar Abbas sarebbe stata proprio Saman a dire che “voleva fare un giro in Pakistan ma c’era il Covid. Mi ha detto di andare tutti insieme - ha continuato - ma le ho risposto che dovevo lavorare. Ha insistito, ma avevo trovato solo tre biglietti. Saman, il fratello e la madre sono andati, io li ho raggiunti appena ho potuto. Siamo stati a casa di Akmal, era tutto normale, erano tutti felici. Siamo rientrati in Italia il 14 settembre”. Quindi le lacrime. “Mai ho pensato di uccidere mia figlia - spiega Shabbar alla presidente Beretti - Noi nemmeno gli animali ammazziamo. Sono stati i giornalisti a mettermi questa targhetta. In carcere non è una bella vita, mi danno del cane che ho ammazzato sua figlia”.

“Saman era il mio cuore” ha detto Shabbar, negando le minacce al fidanzato Saqib, specificando che quello tra lui e sua figlia “non era amore nè una bella cosa”. Ha poi ripercorso le ultime ore della figlia, la sera del 30 aprile quando “andava tutto bene, nn c’era alcun problema in casa mia”. Ha ricordato i messaggi scritti da Saman in bagno, la decisione di andare via, la “disperazione” della madre perché cambiasse idea. “Anche io vorrei sapere chi l’ha ammazzata - ha detto in aula in conclusione - con chi sarebbe dovuta andare quella notte. Mia figlia non c’è più, mia figlia è morta” ha detto, rivolgendosi infine alla Corte: “Fate una giustizia come volete, io non dico niente”. (dall’inviata Silvia Mancinelli)

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