'Le mie non erano semplici considerazioni ma informazioni riservate da fonti qualificate'
"Le mie non erano semplici considerazioni, ma informazioni riservate da fonti qualificate autorevoli e attendibili, che mi hanno riferito che il primo incidente nel laboratorio di Wuhan in Cina si è verificato il 2 novembre del 2019. Sono le stesse informazioni che erano anche in mano all'amministrazione Usa, soltanto che allora preferirono non usarle. Ci fu molta reticenza, non solo da parte della Cina ma anche di altri Paesi". E' quanto ribadisce all'AdnKronos il giornalista Paolo Liguori, già direttore di TgCom24 e ora direttore editoriale dei nuovi media del gruppo Mediaset, che per primo rilanciò in Italia quelle ipotesi, ora confermate dalle recenti dichiarazioni di Anthony Fauci, direttore dell'Istituto nazionale di malattie infettive negli Usa e consigliere della Casa Bianca sul Covid.
"Dopo il caso del 2 novembre, ci sono stati almeno altri due casi accertati a dicembre e uno scienziato che è morto alla fine del 2019: noi abbiamo avuto quelle informazioni il 12 gennaio - afferma Liguori - e le cose non ci sono neanche state dette con precisione. Perché quelle notizie non sono state diffuse, né in Cina né negli Usa o in altri Paesi, trattenute per mesi dall'Oms, l'Organizzazione mondiale della Sanità? La risposta è che gli esperimenti sfuggiti di mano erano esperimenti militari, sottoposti alla tutela da parte dell'esercito e del partito comunista cinese".
Prosegue Liguori: "A febbraio ci fu un rapporto consegnato a Xi e lui ordinò di tenerlo nascosto. E gli altri Stati, per non aprire una accusa formale alla Cina, con gli Usa allora impegnati in un serio confronto con la Russia, tennero quelle informazioni riservate. La stessa Oms era restia a dichiarare lo stato di pandemia da Covid, per le pressioni fortissime subite dalla Cina, suo principale finanziatore. Ora, ci si rende conto che quei mesi di ritardo sono stati pagati a caro prezzo in termini di vittime umane. Lo stesso Fauci sapeva queste cose fin dall'inizio, anche se le racconta soltanto ora".
La Cina, afferma Liguori, è "già in possesso di cinque vaccini, se non sei: tre o quattro li danno anche all'estero da fabbricare su brevetto, uno, il più efficace, lo tengono per loro: perché chi ha il virus originale possiede anche il miglior adenovirus... Sarà un tema da seguire con molta attenzione. Se permettiamo di fare politica con i brevetti, la Cina è in grado di ottenere materie prime e territori in cambio, subordinando così diversi Paesi. Ecco perché bisogna azzerare i brevetti e tornare alla parità, visto tra l'altro che le case farmaceutiche sono state già ben remunerate e sono ampiamente ripagate".
Poi, riferisce ancora Liguori, "si è inserita anche la questione Taiwan, il punto più delicato di frizione e di conflitto ora al mondo, anche rispetto alle crisi in Medio Oriente. Perché proprio Taiwan tiene, assieme alla Corea, quasi un monopolio sulla costruzione dei semiconduttori e dei chips per le work station: possedere questo mercato, come vorrebbe la Cina, significa avere il mondo in mano e poter fare la cyber war, la 'guerra elettronica': questo è il futuro e conquistare Taiwan, o difenderla, è strategico per tutti".
Per Liguori, "il piano per l'invasione cinese di Taiwan consegnato a Xi è ancora attivo, 'congelato' solo perché prevede lo scenario di un impegno degli Usa sul fronte contro la Russia. Informazioni sono in possesso anche ai servizi di intelligence francesi, australiani, israeliani, britannici e forse canadesi e tedeschi. Fantascienza? No e neanche fantapolitica, ma geopolitica!", conclude Paolo Liguori.
(di Enzo Bonaiuto)