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"Legge su canone Rai incostituzionale"

Il consigliere Laganà presenta il parere legale al Cda e chiede un ricorso

(Foto Fotogramma)
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25 luglio 2019 | 13.47
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di Veronica Marino
L'uso del canone stabilito dalla Legge di Stabilità 2016 appare "incoerente con il quadro costituzionale e con la struttura e la funzione del servizio pubblico radiotelevisivo. Ciò impone all'intero Consiglio di amministrazione della Rai spa e a ciascuno dei suoi componenti, nell'ambito delle proprie funzioni, di tenere una condotta atta a preservare gli interessi della società concessionaria, evitando che a essa possa essere recato pregiudizio in applicazione di una disciplina sospetta di incostituzionalità". E' quanto si legge nel parere legale, di cui l'AdnKronos è in possesso, e che il consigliere Rai Riccardo Laganà illustrerà al Cda in corso in Viale Mazzini. Un parere a seguito del quale Laganà chiede di fatto al consiglio di fare ricorso per evitare che possa configurarsi il rischio di danno erariale.

"In difetto - si legge, infatti, nel parere, considerando cioè l'ipotesi che non si dia seguito ad alcuna azione a protezione della Rai - quello recato al patrimonio sociale dai componenti del consiglio di amministrazione, in ragione di proprie condotte attive od omissive, dovrebbe qualificarsi quale danno erariale, ferma restando la responsabilità verso la società".

Il parere in questione è stato scritto dall'avvocato Luigi Principato, lo stesso avvocato che per conto dell'Usigrai ha fatto la diffida al Cda nell'epoca Gubitosi-Tarantola per costringerli a fare ricorso contro il taglio dei 150 milioni imposto dal governo Renzi ed è anche l'autore del parere consegnato, sempre dall'Usigrai, in Commissione di Vigilanza Rai l'esate scorsa per documentare i motivi giuridici per i quali Marcello Foa non poteva esercitare come presidente con pieni poteri quando era in carica solo come consigliere anziano. Ma dove si annida il profilo di incostituzionalità?

La legge di stabilità 2016, che inserisce il canone Rai in bolletta, prevede anche che per gli anni dal 2016 al 2018 le eventuali maggiori entrate (il cosiddetto extragettito), siano riversate all'Erario per essere poi destinate ad ampliare la soglia di reddito per l'esenzione dal pagamento del canone stesso; al finanziamento del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione; al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Il canone, però, come si legge nel parere, "è una imposta di scopo il cui introito è conseguentemente vincolato alla esclusiva funzione di dotazione finanziaria della concessionaria del pubblico servizio". E il pagamento del canone è "giustificato" in quanto "atto a sostenere finanziariamente il perseguimento delle finalità imposte all'esercizio del pubblico servizio".

Ecco, quindi, che "i proventi del canone dovrebbero essere destinati ad attività direttamente imputabili, nella logica del servizio pubblico, alla società concessionaria". Alla luce di ciò l'innalzamento delle soglie reddituali di esenzione dall'obbligo di pagamento del canone "con un certo sforzo si potrebbe considerare coerente con tale vincolo di scopo, rispetto al quadro costituzionale"; "maggiori perplessità solleva" poi il finanziamento del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione, considerato che "si perde radicalmente la connessione con il servizio pubblico radiotelevisivo, pur se permane la finalità di promozione della cultura e dell'informazione".

Mentre "dubbi più radicali investono la terza modalità di impiego delle risorse ricavate dalla riscossione del canone" e cioè il finanziamento del Fondo per la riduzione della pressione fiscale perché in questo caso "si perde ogni rapporto con l'organizzazione del sistema radiotelevisivo e con le finalità di tutela e promozione dell'informazione e del pluralismo che sono poste a sostegno dell'istituzione del canone di abbonamento quale imposta di scopo".

Non solo. "Privare di sostanze la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo rischia", secondo il parare stilato dall'avvocato Principato, "di compromettere l'adempimento degli obblighi di servizio con conseguente induzione all'inadempimento del relativo contratto. La gravità dell'assunto - si legge - si coglie ancora di più esaminando la determinazione della Corte dei Conti del 16 luglio scorso n.89 (Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla Gestione finanziaria della Rai) relativa all'esercizio del 2017 nella quale si legge che 'le risorse da canone integralmente imputate al servizio pubblico specifico non sono sufficienti a pareggiare i costi sostenuti dalla concessionaria per l'assolvimento dei compiti di servizio pubblico. Emerge un disavanzo di 106 milioni di euro, quale differenza tra ricavi complessivi pari a 1.855,3 milioni e costi diretti e indiretti (transfer charge) ammontanti a 1.961,3 milioni".

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