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Dal caffè alla soia, stili di vita e deforestazione

Dal caffè alla soia, stili di vita e deforestazione
13 novembre 2020 | 14.59
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Dalla soia ai pellami, dalla carne bovina al caffé: ogni giorno mangiamo, usiamo o indossiamo foreste. E le conseguenze sono allarmanti: l’80% della deforestazione mondiale è dovuta alla necessità di fare posto ai pascoli per la produzione di carne, alle piantagioni di soia e olio di palma richiesti dai Paesi occidentali che consumano e sprecano sempre di più. I consumi dell’Europa sono responsabili del 10% della deforestazione globale, che avviene prevalentemente al di fuori dei confini dell’Ue, e il nostro Paese ha un’alta responsabilità visto che siamo un tradizionale importatore di materie prime provenienti dalle foreste.

Lo svela il nuovo report del Wwf lanciato oggi dal titolo “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?” dove gli esempi della deforestazione ‘incorporata’ in molti dei beni di consumo evidenziano i link nascosti tra la perdita impressionante di foreste e i nostri gesti quotidiani: negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni, più o meno quanto la superficie dell’intera Unione Europea, gran parte dei quali in aree tropicali.

Ogni anno vanno persi circa 10 milioni di ettari a causa della conversione di foreste in terreni agricoli. Un danno enorme sia per la biodiversità, visto che circa l’ 80% delle specie animali e vegetali terrestri del Pianeta vive nelle foreste, sia per gli effetti drammatici sui cambiamenti climatici: la perdita di foreste amplifica la crisi climatica a causa delle elevatissime quantità di carbonio che vengono rilasciate e a causa delle perdita della regolazione del sistema climatico nel suo complesso.

Caffè e biodiversità: consumi e impatti sulla biodiversità. Nel mondo, spiega il Wwf, si bevono circa 2,5 miliardi di tazze di caffè al giorno e l’Italia è il paese simbolo di questo rito quotidiano. L’Europa (che rappresenta il 33% del consumo globale di caffè) è il più grande mercato del caffè al mondo. Il fatto che nei prossimi decenni la produzione di caffè potrebbe diventare un driver sempre più importante di deforestazione è dovuto all’aumento della domanda e al crescente impatto dei cambiamenti climatici: la produzione di caffè dovrà triplicare entro il 2050 per soddisfare la richiesta globale, ma ancora oggi il 60% dell’area idonea a coltivare caffè è coperta da foreste.

Infatti, se un tempo il caffè si coltivava ai margini degli ambienti forestali, oggi si abbattono alberi per produrre, in enormi aree esposte al sole, i preziosi chicchi. Tutto questo avrà gravi conseguenze per specie già a rischio estinzione, come la tigre di Sumatra: l'Indonesia, dove vive questa specie, è infatti uno dei maggiori esportatori di caffè (insieme a Messico, Colombia, Vietnam e Brasile). Inoltre, a causa del cambiamento climatico, il 50% delle aree coltivate a caffè saranno inadatte alla produzione entro il 2050 spingendo le coltivazioni verso altitudini più elevate, minacciando la scomparsa di foreste preziose.

Il futuro di queste foreste e specie grava anche sulle spalle dell’Italia, visto che ogni anno consumiamo in media 6 kg di caffè a testa. L’appello del Wwf, per ridurre i nostri impatti, è quello di preferire caffè proveniente da aziende certificate, anche se al momento solo il 20% delle aziende agricole sono certificate.

La soia: produzione, consumi e i rischi per il giaguaro. Dal 1950 ad oggi la produzione di soia è aumentata globalmente di 15 volte a causa dell’aumento del consumo di carni e derivati animali. Il 97% delle farine di soia finisce nei mangimi animali. Ecco perché la soia è il secondo maggiore driver di deforestazione al mondo dopo l’allevamento di bovini. Il Brasile è il maggiore produttore al mondo di soia. Un quinto della soia importata in Ue dal Brasile (prodotta in Amazzonia e Cerrado) è legata a deforestazione illegale. A livello globale, la coltivazione di soia sta devastando alcuni dei più preziosi ecosistemi: Amazzonia, Cerrado, Gran Chaco e Pantanal dove vive più del 10% di tutte le specie animali conosciute, tra cui il giaguaro.

La domanda europea di soia è soddisfatta infatti al 95% dalle importazioni: il consumo di soia di un europeo è di 61 kg l’anno, di cui oltre il 90% proviene indirettamente dai mangimi destinati agli animali per ottenere carne, pesce, uova, yogurt, ecc. L’Italia è il terzo maggiore importatore in Ue di farina di soia: le importazioni italiane di soia hanno indotto una deforestazione media circa 16.000 ettari l’anno. È quindi importante diventare consumatori consapevoli riducendo il consumo di carne.

L’Amazzonia e la bresaola: qual è il collegamento? Per il Wwf un altro indiziato della deforestazione è la bresaola. Non tutti sanno che in Brasile una delle cause di deforestazione è legata all’allevamento dello zebù, una specie affine ai nostri bovini: cosce congelate di questo bovide possono diventare bresaola. Non è una truffa (lo consente ad oggi il disciplinare di produzione) ma certamente non è noto che per produrre bresaola, talvolta anche in possesso della certificazione Igp, si possa utilizzare qualunque tipo di bovino, anche quello che di italiano non ha nulla e che viene allevato distruggendo la foresta amazzonica.

L’Ue, ricorda il Wwf, è il più grande mercato import/export di prodotti agroalimentari. Il 36% delle colture e dei prodotti di origine animale associati a deforestazione nei paesi di origine è destinato al mercato europeo e il 60% di questi proviene dal Brasile mentre il 25% dall’Indonesia. Moda e foreste: anche le scarpe hanno un ruolo. Il pellame usato per realizzare scarpe, cinte e borse è un sottoprodotto dell’industria della carne bovina e come tale a rischio di deforestazione. In Italia, patria delle calzature e delle borse firmate, la materia prima predominante è il pellame, in particolare quello bovino che rappresenta il 70% delle materia prima utilizzata dall’industria conciaria. Il Brasile esporta l’80% delle pelli bovine che produce (40,7 mln di pelli in dieci anni).

L’Ue acquista 80.500 tonnellate di pelle dal Brasile – circa il 20% dell'import globale – gran parte delle quali ricavate da zone deforestate illegalmente. Per fermare questa distruzione il Wwf indica l’acquisto di prodotti in pelle manufatti da aziende che investono in filiere trasparenti e forest-friendly, o meglio ancora, l’utilizzo di materiali alternativi.

“Dobbiamo fermare il processo di distruzione delle foreste più preziose: oggi il 40% della foresta pluviale amazzonica ha già raggiunto il punto di non ritorno a causa di incendi e tagli incontrollati. La nostra responsabilità come consumatori è enorme e il percorso della certificazione di prodotti di largo consumo, così come la riduzione di alimenti dentro i quali si nasconde la deforestazione, a partire dalla carne bovina e dalla soia per mangimi, sono l’unica strada percorribile" ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore conservazione di Wwf Italia.

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