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Appello Gimbe: "Più fondi alla ricerca biomedica e valutare l'impatto sul Servizio sanitario"

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14 novembre 2016 | 12.04
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"In un contesto nazionale caratterizzato da un modesto finanziamento pubblico prevalentemente destinato alla ricerca di base, è indispensabile una maggiore integrazione tra ricerca e sanità pubblica attraverso due azioni: destinare una 'ragionevole percentuale' del Fondo sanitario nazionale alla ricerca comparativa indipendente sull'efficacia degli interventi sanitari (non solo farmaci!), al fine di produrre robuste evidenze per utilizzare al meglio il denaro pubblico; avviare un rigoroso monitoraggio dei progetti di ricerca finanziati, per valutare il loro impatto sul Ssn e sulla salute delle persone". E' la ricetta proposta da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, per dare forza alla ricerca biomedica in Italia.

Sul tema oltre 150 ricercatori, finanziatori pubblici e privati, e rappresentanti di enti regolatori, istituzioni di ricerca, comitati etici, editori e associazioni di pazienti hanno partecipato recentemente alla Convention nazionale Gimbe, per condividere le raccomandazioni della campagna internazionale 'Lancet-Reward' - lanciata nel nostro Paese dalla Fondazione Gimbe - che ha l'obiettivo di ottenere il massimo ritorno in termini di salute dalle risorse investite nella ricerca biomedica.

I dati sul finanziamento della ricerca biomedica in Italia, su cui si sono confrontati gli esperti, indicano che nel 2015, a fronte di 1,5 miliardi di euro investiti dall'industria farmaceutica, i finanziamenti pubblici ammontano a meno di 500 milioni. Nel dettaglio, poco più di 161 mln vengono destinati agli Irccs per la ricerca corrente, 50 mln per la ricerca finalizzata, 24 mln per la ricerca indipendente Aifa, 11,40 mln dalle Regioni per il cofinanziamento dei programmi di rete della ricerca finalizzata. A questi vanno aggiunti 28,59 mln del Cnr destinati alla ricerca nel settore Scienze biomediche, e le risorse del Programma Ricerca 2015-2020 del Miur che potrebbe raggiungere 200 mln di euro.

"Questi numeri - spiega Cartabellotta - dimostrano che l'agenda della ricerca è inevitabilmente condizionata dalle priorità dell'industria farmaceutica, i cui obiettivi non sempre coincidono con quelli del Servizio sanitario nazionale. Di conseguenza molte aree rilevanti per l'assistenza sanitaria, ma di scarso interesse per l'industria, rimangono 'orfane' di evidenze scientifiche, anche perché le già scarse risorse pubbliche sono prevalentemente dedicate alla ricerca di base".

Giovanni Leonardi, direttore generale della Ricerca e dell'Innovazione in Sanità del ministero della Salute, sottolinea che "le Regioni sostengono di non poter destinare risorse del Fondo sanitario alla ricerca perché questa non è un Lea: questo è formalmente vero, ma la ricerca è fondamentale perché fornisce le basi scientifiche per le decisioni cliniche e sanitarie. Tuttavia, se vogliamo ottenere maggiori finanziamenti della ricerca, è indispensabile migliorare la rendicontazione pubblica dei risultati e l'impatto sul Ssn" .

Sulla stessa linea Silvio Garattini, direttore dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. "Se la ricerca risponde a quesiti rilevanti per il Ssn - evidenzia - rappresenta la miglior spending review, perché fornisce le basi scientifiche per decidere su cosa tagliare; invece medici, pazienti e Ssn si trovano a decidere esclusivamente su evidenze provenienti da studi promossi dall’industria".

Dal confronto tra gli esperti promosso da Gimbe sono emersi i 10 nodi che contribuiscono a generare "l'inaccettabile paradosso italiano": nel 2015, infatti, "nel nostro Paese sono statai destinati 111 miliardi dei euro alla sanità pubblica e meno di 500 milioni sono stati riservati alla ricerca biomedica, producendo limitate evidenze a supporto dei Livelli essenziali di assistenza e contribuendo a rendere il Ssn un 'acquirente disinformato'", indica Gimbe. Ecco i 10 punti critici individuati nel corso della Convention Gimbe:

1) I bandi pubblici e i progetti delle istituzioni di ricerca non sempre tengono in considerazione i bisogni di conoscenza del Ssn e non prevedono il coinvolgimento dei pazienti nella definizione delle priorità;

2) I bandi pubblici non richiedono una formale revisione sistematica delle evidenze disponibili per giustificare la reale necessità degli studi proposti;

3) Esistono ampi margini di miglioramento nella pianificazione, conduzione analisi e reporting della ricerca, considerato che la metodologia della ricerca non è mai entrata formalmente nei percorsi formativi universitari e specialistici;

4) Il processo di regolamentazione della ricerca è eccessivamente burocratizzato e la variabilità di giudizio dei comitati etici è condizionata dalla mancanza di standard condivisi per valutare i protocolli.

5) I comitati etici non riescono sempre a proteggere gli interessi dei pazienti perché, inevitabilmente, i proventi degli studi sponsorizzati rappresentano un rilevante 'pilastro' di finanziamento della ricerca italiana;

6) Continuano a essere approvati sperimentazioni cliniche sponsorizzate contro placebo in presenza di trattamenti efficaci, e troppi studi di non-inferiorità clinicamente irrilevanti ed eticamente discutibili;

7) I risultati di oltre il 50% delle sperimentazioni cliniche rimangono sconosciuti alla comunità scientifica, provocando una distorsione delle conoscenze e un enorme spreco di risorse;

8) In un numero molto elevato di sperimentazioni cliniche vengono modificati gli outcome definiti nel protocollo, senza lasciare traccia per la comunità scientifica e i pazienti di queste, pur legittime, modifiche;

9) I sistemi premianti per gli enti di ricerca, attualmente legati alla quantità di pubblicazioni e agli indici tradizionali (impact factor), dovrebbero essere rivisti alla luce delle raccomandazioni Reward che premiano rigore, trasparenza e qualità della ricerca;

10 ) Il monitoraggio dei progetti di ricerca finanziati con i fondi pubblici è assolutamente inadeguato e, per questo, non conosciamo l'impatto dei loro risultati sul servizio sanitario nazionale.

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