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Tumori: 'effetto Jolie' per lui, caccia a geni migliora strategia prostata

Gli esperti hanno indagato a più ampio raggio sugli effetti di queste alterazioni genetiche per capire se hanno una rilevanza per altri tumori, anche maschili. La risposta è sì, seppur con le dovute differenze

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28 gennaio 2015 | 11.35
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L'effetto Jolie potrebbe valere anche per Brad Pitt? Gli oncologi si sono chiesti in qualche modo se esista una sorta di 'par condicio' fra i sessi anche sul fronte delle mutazioni dei geni Brca1 e Brca2 che moltiplicano nelle donne le probabilità di sviluppare un tumore al seno. Un tema finito sotto i riflettori con il caso di Angelina Jolie, l'attrice hollywoodiana che si è sottoposta a una doppia mastectomia preventiva proprio per abbattere il rischio di andare incontro alla malattia di cui era morta la madre. Gli esperti hanno indagato a più ampio raggio sugli effetti di queste alterazioni genetiche per capire se hanno una rilevanza per altri tumori, anche maschili. La risposta è sì, seppur con le dovute differenze, spiega all'Adnkronos Salute Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all'università Sapienza di Roma e direttore dell'Unità operativa complessa di oncologia medica dell'Azienda ospedaliera Sant'Andrea della Capitale.

I geni "oncosoppressori" Brca 1 e 2, ricorda l'esperto, "producono proteine che riparano il danno del Dna assicurando una buona funzione quando le cellule si dividono. In presenza di un'alterazione di questi geni il meccanismo non funziona correttamente, il Dna danneggiato non viene riparato ed è più probabile che si sviluppi un cancro. E' noto che nelle donne con un'alterazione dei geni Brca 1 o 2, che viene trasmessa ereditariamente, aumenta notevolmente il rischio di tumore al seno. Queste forme sono tra il 5-10% di tutti i tumori al seno. Soggetti sani con questa mutazione hanno più dell'85% di probabilità di ammalarsi nell'arco della vita rispetto alla popolazione femminile generale. E per questo vengono proposte varie strategie", tra cui la mastectomia preventiva. "Ci si è chiesti - continua Marchetti - se i geni Brca1 e 2 alterati sono importanti anche per altri tumori. E' emerso che chi ne è portatore ha un rischio un più alto di sviluppare pure altre neoplasie (peritoneo, tube, pancreas). E nell'uomo il cancro alla prostata".

"Dunque - sottolinea l'esperto - è importante che anche i soggetti maschi, per esempio se hanno una madre che ha avuto un cancro al seno per via di questa mutazione, o più casi di carcinoma prostatico in famiglia, facciano una valutazione per vedere se sono a loro volta portatori del gene Brca alterato". A pesare è in particolare il Brca 2: "Gli uomini con la mutazione hanno un rischio 5 volte più alto di sviluppare un tumore alla prostata rispetto alla popolazione generale, 7 volte se sono under 65 - riferisce Marchetti - Anche un'alterazione di Brca1 può dare un aumento di rischio ma in percentuale significativamente inferiore: 2-3 volte sopra quello della popolazione normale".

In questo momento, precisa l'oncologo, "non ci sono studi condotti specificamente" sul versante maschile dei 'geni Jolie'. "Ma si può dire che la strada principale è il monitoraggio con il Psa e la visita dall'urologo, perché questi sono soggetti sani". In altre parole la caccia ai geni, non solo Brca, migliora la strategia contro il cancro alla prostata e garantisce scelte più mirate, e maggiori certezze su come impostare la sorveglianza attiva. "Chi ha la mutazione Brca2 va rivalutato ogni 6 mesi o un anno, per vedere se il Psa aumenta. In caso di comparsa del tumore ritengo che la strategia migliore in questo caso sia la chirurgia".

Ma Brca a parte, Marchetti assicura: "Esistono già test genetici con cui individuare, indagando su una serie di alterazioni, una firma genetica in grado di farci capire la probabilità che un singolo paziente abbia una forma di carcinoma prostatico apparentemente tranquillo ma invece aggressivo o viceversa. Un dato che aiuta a personalizzare di più i trattamenti. Se caratterizziamo bene, riusciamo a non proporre un percorso impegnativo dove non necessario, o a intervenire tempestivamente se invece prevediamo una malattia più evolutiva. La valutazione attuale solo sul piano istologico ci dà meno informazioni. Con studi di genomica riusciremmo a identificare il rischio individuale del paziente in quel momento".

Questa strategia in futuro sarà sempre più rilevante. Oggi, sottolinea Marchetti, abbiamo dei nodi da affrontare: "Purtroppo in questo Paese il tipo di offerta sanitaria data ai pazienti non è uguale ovunque. Spesso le decisioni terapeutiche non sono condivise in gruppi interdisciplinari in cui tutti gli specialisti che potrebbero dire la loro su un caso si confrontano per scegliere la migliore strategia per quello specifico paziente". Parola chiave: unità di uro-oncologia "da diffondere omogeneamente sul territorio nazionale, con politiche precise che vanno in questa direzione".

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