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Mahsa Amini, attivista iraniana Afshar: "Regime teme nuova rivolta e aumenta repressione''

Per la portavoce dell'Associazione Giovani Iraniani in Italia non c'è alternativa se non quella di rovesciare il regime. La morte di Mahsa Amini, spiega, ha compattato la popolazione e indebolito Teheran.

La bandiera dell'Iran
La bandiera dell'Iran
14 settembre 2023 | 18.55
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Il regime di Teheran teme ''una nuova scintilla'' in Iran e ''sta cercando in tutti i modi di contenere le proteste'' che vedranno il loro ''clou il 16 settembre'', primo anniversario della morte di Mahsa Amini, quando sono ''previste manifestazioni radicali'' che ''potrebbero sfuggire di mano alle autorità''. Ma in Iran ''c'è una maggiore adesione alle proteste e una maggiore coesione tra la popolazione'', con ''giovani e anziani, uomini e donne, ricchi e poveri'' che ''non ne possono più del regime teocratico assassino che è il loro vero nemico''. Lo spiega ad Adnkronos Ghazal Afshar, portavoce dell'Associazione Giovani Iraniani in Italia, secondo la quale ''da fonti interne sappiamo che il regime ha schierato 15mila uomini dei Pasdaran e delle forze paramilitari Basij nelle università sotto copertura, come studenti o professori, per monitorare la situazione''. E ''il regime sta cercando di tutelarsi aumentando la repressione interna e il numero di pattuglie per le strade''. Ma anche ''inviando agenti nelle zone maggiormente interessate dalle proteste'' e ''trasferendo numerosi prigionieri politici dal carcere di Evin''.

Ma quello che questo ultimo anno ha prodotto, prosegue, è appunto ''un fortissimo indebolimento del regime, con molti funzionari che si sono dimessi e hanno lasciato il Paese''. Una ''maggiore emancipazione delle donne che hanno avuto un ruolo importantissimo'', in un Paese dove ''la misoginia è stata istituzionalizzata e le donne ghettizzate''. Oltre che una più sentita ''partecipazione degli studenti a una protesta che ha dimostrato di avere una natura trasversale'' e che ''ha interessato tutto il Paese''. Le proteste, ricorda l'esule, si sono svolte in ''31 province e 300 città, anche quelle che nelle proteste precedenti erano più assopite o estremamente povere''. Quella che ''all'inizio sembrava una protesta che aveva a che fare con velo, ben presto è diventata una manifestazione antigovernativa con slogan molto radicali contro il leader supremo Khamenei'', spiega Afshar. Perché ''il velo è una delle tante problematiche della popolazione iraniana, ma quella principale è l'esistenza di questa teocrazia''. Che, prosegue l'attivista per i diritti umani, ''va rovesciata. Non c'è alternativa''.

Afshar, il cui padre è stato fucilato e la cui zia è stata impiccata durante la repressione del 1988, ora rivolge un appello alla comunità internazionale che ''pensa di poter dialogare con questo regime. Non è possibile perché é un regime malato, va sradicato. Per permettere ala popolazione di istaurare, in modo libero e indipendente, una repubblica democratica. Solo poi si potrà dialogare con i nuovi rappresentanti eletti dalla popolazione''. Senza tornare alla ''monarchia dello scià, perché nemmeno in quella realtà le donne avevano riconosciute le loro libertà, se non quella di andare in giro con la minigonna''. Nel frattempo, afferma, occorre ''inasprire le sanzioni''.

Secondo lei, già nel novembre del 2019 il regime era stato a messo a dura prova e aveva reagito duramente, ''con 4.500 manifestanti uccisi in una sola settimana. Se non fosse arrivato l'oscuramento di Internet e il Covid, quelle proteste avrebbero messo il regime in forte difficoltà''. Ma ormai ''il malcontento nella popolazione iraniana è fortissimo'' e ''Khamenei è visto come un assassino'', che non solo porta ''l'Iran ad avere il record di esecuzioni pro capite'' e ''uccide circa duemila persone all'anno'', ma ''sfrutta i ricavi delle risorse naturali''. Tanto che se ''l'Iran è tra i primi produttori mondiali di gas e petrolio'', nel Paese ''oltre il 70 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà''.

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