Il premier israeliano: "La pressione internazionale aumenta". Hamas non ha una linea univoca: Sinwar contro l'intesa
Israele prosegue l'offensiva a Gaza, con Rafah nel mirino. Hamas, intanto, si divide sull'accordo per il cessate il fuoco. L'inizio del Ramadan intanto si avvicina, le possibilità di arrivare ad una tregua entro il 10 marzo si riducono.
"C'è una pressione internazionale e sta crescendo, ma soprattutto quando la pressione internazionale aumenta, dobbiamo serrare i ranghi, dobbiamo restare uniti contro i tentativi di fermare la guerra", dice il premier israeliano Benjamin Netanyahu. L'esercito opererà contro Hamas in tutta la Striscia di Gaza, afferma, "compresa Rafah, l'ultima roccaforte di Hamas. Chiunque ci dica di non agire a Rafah ci sta dicendo di perdere la guerra e questo non accadrà".
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, vara un piano per la realizzazione di un porto che favorisca l'arrivo di aiuti umanitari a Gaza. Israele "sostiene pienamente" il progetto per un "porto temporaneo", come dice una fonte dell'esecutivo.
Offrendo nuovi dettagli dell'accordo che si sta negoziando, fonti dell'amministrazione Biden spiegano che il cessate il fuoco inizierebbe con una prima fase di sei settimane, strutturata in modo che potrebbero essere aggiunte due successive fasi. Nella prima fase sarebbe previsto un "riposizionamento delle forze israeliane" e la possibilità per i palestinesi di tornare a Gaza nord.
"Noi faremo tornare la gente a nord, questo è parte del piano a cui stiamo lavorando", spiegando le fonti riferendosi ad un punto a finora si è sempre opposto Israele che sostiene che il ritorno permetterebbe la ripresa di Hamas in quella metà di Striscia. Riguardo poi alla possibilità che l'accordo si concluda prima dell'inizio del Ramadan, ipotesi a cui, per stessa ammissione di Biden, lavorano gli americani, le fonti ammettono che "non c'e' un scadenza fissa o veloce per questi negoziati".
Ma ribadiscono il rischio di arrivare al Ramadan senza un accordo: "Riconosciamo che gli estremisti potrebbero usarlo per qualcosa che sarebbe estremamente negativo nel mese sacro, che noi vogliamo che sia un periodo di pace per le persone che pregano". "Haniyeh, il leader di Hamas, ha fatto appelli alla violenza per il Ramadan" aggiungono che bisogna quindi fare qualcosa e per questo "stiamo lavorando con gli israeliani, l'Anp, i giordani ed altri".
Intanto il direttore della Cia William Burns è arrivato a Doha per colloqui con il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani. L'informazione viene diffusa dal giornalista di Axios Barak Ravid, che cita fonti dell'amministrazione: al momento non è previsto che Burns vada in Israele.
La fumata bianca sul cessate il fuoco, però, non arriva. La delegazione di alto livello inviata da Hamas al Cairo per i negoziati ha lasciato la città sottolineando che gli sforzi "continuano" e il processo non è stato interrotto. Secondo le informazioni raccolte dal quotidiano palestinese 'Filastin', legato al gruppo islamista, la delegazione ha lasciato il Cairo "per consultarsi con la leadership del movimento". "I negoziati e gli sforzi per fermare l'aggressione, ottenere il ritorno degli sfollati nelle loro case e aiuti umanitari per il popolo palestinese continuano", si legge.
Fonti ufficiali egiziane citate dal canale statale Al Qahera hanno confermato la partenza della delegazione di Hamas "per consultazioni sulla tregua" e hanno aggiunto che "i negoziati riprenderanno la prossima settimana": questo dettaglio sembra escludere in linea di principio un cessate il fuoco prima dell’inizio del Ramadan, che inizierà il 10 marzo.
Il quadro appare decisamente complicato se si considerano le news diffuse dal Wall Street Journal. Il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, starebbe ostacolando l'accordo con Israele, chiedendo maggiori concessioni Secondo il giornale, che cita fonti vicine alle trattative, Ismail Haniyeh, leader dell'organizzazione con base a Doha, non sarebbe d'accordo con la posizione di Sinawar e sarebbe disposto ad accettare una tregua di sei settimane, per negoziare poi un cessate il fuoco permanente e il ritiro delle forze israeliane da Gaza.
Un disaccordo che è stato invece smentito da una fonte dello Stato ebraico. "Non c'è nessuna divisione - ha affermato - I leader di Hamas, sia dentro che fuori Gaza, hanno deciso di amplificare la sofferenza del popolo palestinese. Sono consapevoli che un accordo sugli ostaggi porterebbe a un cessate il fuoco e a un significativo afflusso di aiuti umanitari - cibo, medicine e forniture che migliorerebbero notevolmente le condizioni di Gaza - e non lo vogliono. Preferiscono dare eco alle sofferenze del popolo palestinese".