Solo un anno fa, nella chiesa di cattolica di San Giorgio dei Caldei, a Baghdad, tra i 300 e i 400 fedeli partecipavano alle messe di Avvento. Ma quest'anno, con l'ondata di violenza che ha travolto soprattutto il nord dell'Iraq, colpendo in particolare le minoranze religiose, appena una settantina di persone partecipa alla funzione celebrata da padre Miyassir al-Mokhlasee. Barricate di mattoni e posti di blocco della polizia proteggono la chiesa, la cui comunità di fedeli ha conosciuto un calo costante dal 2003 a oggi.
Se prima dell'arrivo dei militari americani oltre un milione di cristiani viveva in tutto l'Iraq, oggi non se ne contano più di 400.000. Negli ultimi mesi, questo dato ha conosciuto un ulteriore calo a causa della conquista del nord del paese da parte dei jihadisti dello Stato islamico (Is). Per la prima volta in molti secoli, la Piana di Ninive e la città di Mosul sono state quasi completamente svuotate di cristiani.
I jihadisti hanno imposto ai membri della minoranza tre condizioni: convertirsi all'Islam, pagare una tassa per la loro protezione o andare via, lasciando in città tutti i loro averi. Chi resta spesso va incontro a violenze ed esecuzioni. Molti luoghi di culto cristiani, come la tomba del profeta Giona, venerato anche dai musulmani, sono stati distrutti. E anche le altre minoranze, come gli Shabbak e gli Yazidi, sono quasi scomparse da un terra un tempo ricca di diversità.
I riverberi di queste violenze sono arrivati fino alla capitale, dove molte famiglie cristiane si stanno preparando a fuggire. E' quello che farà a breve il Ayad Imad, 22enne cattolico del quartiere borghese di Zayouna, sales manager di una multinazionale del tabacco. Questo Natale, per lui, sarà l'ultimo in Iraq. I suoi genitori hanno già venduto la casa e l'auto e, non appena il padre avrà terminato un ciclo di cure mediche, la famiglia si trasferirà in Turchia, dove si registreranno presso l'agenzia Onu per i rifugiati.
L'obiettivo, tramite un apposito programma dell'agenzia, è essere trasferiti in America, in Australia o in Europa. "All'inizio mio padre insisteva per rimanere - ha spiegato Ayad - ma lui ha avuto il suo lavoro e la sua carriera e anche mio nonno ha avuto la sua vita. Ora è il mio turno e qui non c'è futuro". Le violenze commesse dall'Is a Mosul hanno convinto i familiari del giovane a partire. E come loro, anche tanti altri hanno fatto la stessa scelta.
In tanti scompaiono dall'oggi al domani, senza dirlo ad amici e vicini. Temono infatti di essere rapiti o uccisi, visto che chi parte ha in genere venduto tutti i suoi beni e dispone di liquidità che fa gola ai gruppi armati. A luglio, lunghe file si formavano di fronte all'ambasciata francese, dopo che Parigi ha lanciato un progetto speciale di accoglienza per i cristiani iracheni.
Ma per questo disperdersi della comunità cristiana irachena in tutto il mondo è motivo di sofferenza e non è condiviso da tutti. "E' un disastro - dice Younadam Kanna, parlamentare cristiano - La violenza, la discriminazione e la corruzione ci stanno spingendo via dal paese. Dall'estero si incoraggiano i cristiani a fuggire. Ma questo sta distruggendo la nostra comunità".
Non è la prima volta che la chiesa di padre Mokhlasee conosce un esodo massiccio di fedeli. Nel 2010 un attacco contro la cattedrale siriaca di Baghdad uccise 58 persone e terrorizzò la comunità cristiana, mettendola in fuga. Il sacerdote spiega che, da allora, solo in pochi sono tornati. Teme, quindi, che con il tempo la comunità si vada estinguendo e che la sua chiesa non sopravviva.
"Siamo sempre meno - dice in uno dei suoi sermoni - Chiediamo a Dio di poter rimanere nelle nostre chiese, nel nostro paese. Il nostro messaggio è che la gente resti qui". Ma il religioso è certo che il suo messaggio cade nel vuoto. "Persino la mia famiglia sta andando via", spiega. Suo fratello, con la moglie e quattro figli, ha perso la sua fattoria a Ninive e ora ha deciso di trasferirsi in Giordania. "Sta cercando - dice il sacerdote - un futuro per i suoi figli".