Il lavoratore che denuncia il proprio datore di lavoro o i colleghi per mobbing può ottenere il risarcimento del danno soltanto se fornisce la prova certa dell’intento persecutorio che lega le varie condotte vessatorie subite. Secondo il sito d'informazione e consulenza legale 'La legge è uguale per tutti', in base a una recente sentenza della Cassazione, è necessaria anche la prova che tutti i vari atteggiamenti, come demansionamento, rimproveri, eccessivo carico di lavoro, mancato riconoscimento di ferie, "siano tra loro uniti dallo stesso filo conduttore".
In altre parole non è sufficiente descrivere le condotte lesive ma è necessario provare la volontà persecutoria e il piano vessatorio messo in atto dal datore di lavoro o dai colleghi.
Perché ci siano requisiti del mobbing vanno riscontrati "una serie di comportamenti di carattere persecutorio", l’evento "lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente", il "nesso causale tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità" e infine "l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi". Il lavoratore dovrà cioè dimostrare l'esistenza di tutti questi elementi. "Come si può notare - si legge sul sito 'La legge è uguale per tutti' - si tratta di una prova particolarmente complessa ma necessaria per fornire al giudice tutti gli elementi idonei al riconoscimento della tutela risarcitoria".