Estorsione da 15 milioni al Vaticano. E’ l’inquietante ipotesi che emerge dall’inchiesta di Oltretevere che ha portato oggi all’arresto di Gianluigi Torzi nell’ambito delle indagini sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Santa Sede. Torzi, imprenditore molisano, stando alle ricostruzioni dell'accusa sarebbe entrato in contatto con la Segreteria di Stato per aiutarla a risolvere l’impasse della partecipazione al fondo Athena di Raffaele Mincione, partecipazione finanziata con i soldi dell’Obolo di San Pietro - destinati ai poveri - e costata alle casse vaticane - sempre secondo quanto ricostruito dagli inquirenti - perdite per svariati milioni di euro. Il broker ora agli arresti, però, stando alle accuse si sarebbe ben presto trasformato nell’uomo in grado di tenere in pugno la segreteria di Stato fino a portare a compimento una estorsione di 15 milioni.
A mettere Torzi nelle condizioni di portare a segno un’estorsione al Vaticano è la truffa che, sempre secondo gli investigatori, l’imprenditore avrebbe commesso ai danni della Segreteria di Stato. In particolare, a quanto apprende l’Adnkronos, Torzi, che con la sua Gutt Sa aveva triangolato per la Santa Sede l’acquisto da Mincione dell’immobile di Londra al centro dell’inchiesta, avrebbe trattenuto senza farlo sapere alla Segreteria di Stato mille azioni (le uniche con diritto di voto) della società, con ciò impedendo di fatto al Vaticano (cui aveva ceduto 30mila azioni ma senza diritto di voto) di disporre del palazzo.
Gli inquirenti avrebbero scoperto che nel corso di una riunione per convincere l’imprenditore a cedere le sue azioni e alla quale parteciparono anche monsignor Edgar Pena Parra, Sostituto della segreteria di Stato Vaticana, Giuseppe Maria Milanese, che avrebbe agito nell’interesse della Segreteria, l’avvocato dello studio Ernst & Young Manuele Intendente e Renato Giovannini, rettore vicario Università Guglielmo Marconi, Torzi si sarebbe detto disponibile a rinunciare, previo risarcimento delle spese e con un piccolo margine guadagno, somma che in un successivo incontro venne quantificata in 3 milioni di euro.
Tuttavia, nonostante l’accordo verbale, nell’ipotesi investigativa Torzi non avrebbe restituito le azioni residue della Gutt Sa. Anzi, la sua strategia ‘al rialzo’ sarebbe emersa nel corso di una drammatica e lunghissima riunione nello studio di Giovannini, dalla quale sarebbe venuto fuori che più persone erano state coinvolte nell’operazione e che somme di denaro erano state date o promesse anche ad “altri”. Vero? Falso? E chi sarebbero questi “altri”? E, ancora, che Enrico Crasso, gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Sogenel Capital Holding, e Fabrizio Tirabassi, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, qualche giorno prima in un incontro a Milano gli avessero offerto 9 milioni di euro per cedere le azioni.
Una cifra consistente, ritenuta però insufficiente da Torzi che, secondo quanto riferito agli investigatori da più testimoni, sarebbe arrivato a ipotizzare la somma di 24 milioni e perfino di 30 milioni per restituire l’immobile di Londra alla Santa Sede, in un’escalation che a quanto apprende l’Adnkronos avrebbe spinto Giovannini, interrogato dagli inquirenti vaticani, a non poter negare che le richieste dell’imprenditore molisano avessero i toni di una “estorsione”.
Successivamente, nel corso di un incontro con il Sostituto della Segreteria Vaticana, Tirabassi e monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria, dalle indagini sarebbe emerso che avrebbero proposto di prelevare i 20 milioni necessari a chiudere la transazione con Torzi dal cosiddetto Fondo discrezionale, un fondo creato nel 2015 per le spese discrezionali del Papa. Operazione che sarebbe finìta nel nulla anche grazie alla mediazione di monsignor Mauro Carlino che avrebbe convinto Torzi ad accettare 15 milioni anziché 20, al pagamento dei quali, secondo la procura vaticana, si sarebbe consumata l’estorsione.
(di Mia Grassi e Tommaso Gallavotti)