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Tumori, trasformismo materico cellule malate possibile alleato immunoterapia

Tumori, trasformismo materico cellule malate possibile alleato immunoterapia
13 gennaio 2023 | 13.37
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Le cellule tumorali sono capaci di passare dallo stato solido a quello liquido: un trasformismo materico 'a due facce', perché se da un lato questo meccanismo favorisce l'invasività del cancro e quindi il rischio di metastasi, dall'altro può essere sfruttato come tallone d'Achille del tumore diventando un possibile alleato dell'immunoterapia. Lo ha scoperto un gruppo di scienziati dell'Istituto Firc di oncologia molecolare (Ifom) di Milano e dell'Università Statale del capoluogo lombardo, in uno studio sostenuto da Fondazione Airc e pubblicato su 'Nature Materials'.

Il lavoro riguarda in particolare il carcinoma intraduttale mammario, un tumore "diagnosticato sempre più facilmente grazie agli screening radiografici", sottolinea Giorgio Scita, a capo del Laboratorio Ifom Meccanismi di ricerca delle cellule tumorali e professore ordinario di Patologia generale in UniMi. "Circa il 20% delle diagnosi di cancro al seno sono di questo tipo", precisa l'esperto. "Le cellule del carcinoma intraduttale - spiega - si sviluppano e proliferano all'interno dei confini del dotto della ghiandola mammaria. In questa condizione di confinamento i tessuti sani circostanti comprimono la massa tumorale e ne alterano le proprietà fisiche, favorendone l'irrigidimento e prevenendone l'espansione. Grazie a questo meccanismo di difesa, per circa il 70% di questi tumori non sarebbe necessario alcun tipo di intervento né chirurgico né farmacologico, in quanto spesso regredirebbero spontaneamente. Solo il 30% circa progredisce, dando luogo a metastasi a distanza".

La differenza tuttavia si osserva solo a posteriori, perché "ad oggi, purtroppo - continua Scita - non ci sono strumenti per prevedere se una paziente rientrerà nel 30% dei casi o nel 70%". Di conseguenza tutte le donne alle quali viene diagnosticata questa forma di cancro vengono sottoposte indistintamente alla stessa terapia, con effetti collaterali che per la maggioranza sarebbero evitabili. "I medici non hanno a disposizione una chiave di lettura per capire come orientare le loro strategie terapeutiche in modo mirato, o più semplicemente per risparmiare trattamenti non necessari. La sfida che ci siamo posti come gruppo di ricerca - riferisce dunque lo specialista - è stata quella di indagare le caratteristiche fisiche alla base delle due categorie di tumore, per cercare di identificare criteri con cui differenziare i trattamenti e ridurre al minimo indispensabile le terapie applicate".

Negli ultimi anni - riporta una nota - i ricercatori di Ifom e UniMi hanno messo in luce un aspetto precedentemente inesplorato del carcinoma intraduttale mammario: questo tipo di tumore presenta caratteristiche tali da potervi applicare le leggi fisiche che si utilizzano per studiare le proprietà dei materiali fluidi-soffici. "In un nostro precedente studio, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2019 sempre su Nature Materials - ricordano gli autori - abbiamo individuato una proprietà meccanica e materiale specifica nelle cellule tumorali di quel 30% votato alla disseminazione metastatica. Si tratta della capacità del tessuto tumorale solido di diventare fluido. E' un po' come se il tumore fosse in grado di trasformarsi da una massa rigida, ma inerte, in un flusso liquido e mobile, riuscendo così a superare gli argini meccanici che ostacolavano la sua progressione e invasività. Avevamo inoltre constatato che la fluidificazione del tessuto tumorale è indotta dalla proteina RAB5A, che regola la capacità delle cellule di internalizzare membrane e recettori ed è anche frequentemente espressa in quantità notevole proprio nei più aggressivi tumori al seno".

Nel nuovo lavoro gli scienziati hanno raggiunto un ulteriore traguardo. Hanno infatti dimostrato che la capacità della cellula tumorale di passare da uno stato solido a uno fluido potrebbe rappresentare un potenziale terapeutico per combattere il tumore stesso. "L'esposizione del tumore a sollecitazione meccaniche ripetute - prosegue Scita - comporta una vera e propria trasformazione del suo comportamento all'interno dell'organismo, che porta quest'ultimo ad attivare meccanismi di reazione analoghi a quelli adottati dai tessuti del sistema immunitario esposti a infezioni virali. Dunque questa trasformazione, se da un lato un lato conferisce al tumore resistenza a farmaci chemioterapici, potrebbe essere altresì sfruttata come un'arma a doppio taglio per combattere il tumore stesso. In altre parole, stiamo cercando di fare leva sulla capacità di fluidificazione del tumore per trasformarla da veicolo di aggressività tumorale ad arma per attivare il sistema immunitario. Il tumore passerebbe così da essere immunologicamente 'freddo', cioè non visibile al sistema immunitario, a immunologicamente 'caldo', quindi efficacemente trattabile con i moderni approcci di immunoterapia".

Per arrivare questa scoperta, illustrano Emanuela Frittoli e Andrea Palamidessi, primi autori del lavoro, "in laboratorio abbiamo creato degli 'avatar' di tumori mammari e abbiamo utilizzato sofisticate tecniche di meccanobiologia e di imaging ad altissima risoluzione. Abbiamo quindi confrontato le espressioni geniche del tumore liquido e di quello solido nella transizione solido-liquido indotta da RAB5A. Abbiamo così osservato che durante questo passaggio di stato la cellula tumorale, oltre ad acquisire fluidità e capacità invasiva, diventa sorprendentemente in grado di attivare il sistema immunitario innato, caratteristica che le consente di resistere alla chemioterapia. Pertanto, a un cambio di stato corrispondono sostanziali modifiche nelle proprietà del tumore stesso. Da quanto abbiamo osservato, questo avviene perché nella transizione di stato il tessuto tumorale è sottoposto a forti sollecitazioni meccaniche, dilatandosi e contraendosi, e scatenando di conseguenza una risposta protettiva da parte della cellula stessa".

"Abbinando tecniche di microscopia elettronica e ottica - continuano gli autori - abbiamo evidenziato a livello molecolare che i nuclei delle cellule tumorali tendono a rompersi e a rilasciare Dna nel citoplasma. Come dei sensori si attivano quindi le proteine cGAS/STING, tipicamente preposte a combattere le infezioni virali. Queste proteine riconoscono la presenza di Dna nel citoplasma e innescano così uno stato infiammatorio che aumenta l'aggressività e l'invasività del tumore, nonché la sua resistenza ai chemioterapici". Ma "proprio facendo leva sull'attivazione del sistema immunitario innato favorito dalla fluidificazione - afferma Scita - potremmo sfruttare la capacità di cambio di stato che RAB5A conferisce a questi tumori per renderli da immunologicamente freddi, non rintracciabili dal nostro sistema immunitario, a immunologicamente caldi, aumentando l'efficacia dell'immunoterapia per neutralizzare il tumore stesso. I risultati di questo studio sono stati finora ottenuti in laboratorio in avatar di tumori mammari", ma "la prossima sfida sarà confermare i risultati in campioni di pazienti".

"La presenza di RAB5A nei tessuti tumorali di pazienti - prospetta l'esperto - potrà essere individuata con tecniche di istopatologia con anticorpi specifici o applicando i più moderni approcci di colorazioni a fluorescenza multiple messe a punto dal professor Claudio Tripodo dell'Università di Palermo. Se i dati saranno confermati anche in studi clinici, il 70% delle pazienti in cui RAB5A non dovrebbe essere presente potrebbe andare incontro a regressione senza bisogno di un piano terapeutico, mentre il 30% in cui questa proteina dovrebbe essere espressa potrebbe essere trattata efficacemente con immunoterapia".

Lo studio - rimarcano Ifom e Statale - è stato condotto in stretta collaborazione con Fabio Giavazzi, ricercatore di Fisica applicata dell'ateneo milanese, e con Claudio Tripodo dell'Università degli Studi di Palermo. Gli esperimenti hanno inoltre richiesto il contributo integrato di un gruppo di fisici dell'Università degli Studi di Perugia e di diversi partner clinici, dello Ieo di Milano, del Policlinico San Matteo di Pavia, dell'Ospedale Cannizzaro di Catania e del Policlinico Gemelli di Roma. "Questa collaborazione così ampiamente interdisciplinare - conclude Scita - dimostra che fare ricerca d'eccellenza sul cancro significa anche esplorare connessioni trasversali con altri ambiti scientifici, con l'obiettivo di tracciare percorsi terapeutici efficaci in base ad approcci innovativi e a chiavi di lettura inedite".

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