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Meloni sceglie Fitto e sigla patto con alleati, scoppia 'giallo' della nota su Kiev corretta

La premier 'carica' i ministri: "Avanti senza paura, ci giudicheranno gli italiani"

Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (Fotogramma)
Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (Fotogramma)
31 agosto 2024 | 00.03
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Una “scelta dolorosa” ma necessaria. E’ con queste parole che Giorgia Meloni condivide con i ministri, nel primo Cdm dopo la pausa estiva, la decisione di candidare Raffaele Fitto ad un ruolo di peso a Bruxelles. Con un portafoglio che vale oltre 1000 miliardi, tra coesione e Pnrr. E - si spera e si lotta con questo obiettivo fermo - una vicepresidenza esecutiva da spuntare. L’indicazione arriva in zona Cesarini, visto che ieri era l’ultimo giorno utile per indicare il ‘nome’ che l’Italia ha in serbo. Un segreto di Pulcinella, visto che sono mesi che se ne parla e mesi, soprattutto, che Meloni ne ragiona con Ursula von der Leyen. Prima di informare i ministri, Meloni chiama al telefono l’opposizione: dall’altra parte della cornetta Elly Schlein e Giuseppe Conte.

Vertice di maggioranza

Le telefonate arrivano mentre Fitto varca il portone di Palazzo Chigi dribblando i giornalisti, lo sguardo serio, nemmeno un sorriso accennato. Sembra quasi che qualcosa sia andato storto, invece nulla quaestio sul suo nome. Semmai è la politica estera a scaldare la maggioranza, nel vertice di centrodestra che va in scena prima del Cdm. E dal quale viene fuori un nuovo patto di maggioranza, stretto tra la premier, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Maurizio Lupi dopo un agosto in cui non sono mancati fendenti.

I grandi temi sono tutti sul tavolo: dalla Rai all’autonomia, passando alla giustizia e ai balneari, senza dimenticare l’emergenza carceri, solo per citare alcuni tra i più annosi. Ma soprattutto si parla di manovra. “Sarà una legge di bilancio ispirata, come quelle precedenti, al buon senso e alla serietà. La stagione dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus è finita e non tornerà fin quando ci saremo noi al governo", dirà la premier in apertura di Cdm, in un lungo intervento che rimbalza sulle agenzie e che sembra quasi un discorso motivazionale ("avanti senza paura", esorta infatti la squadra). In legge di bilancio priorità alla "riduzione delle tasse, il sostegno a giovani, famiglie e natalità, e interventi per le imprese che assumono”. Niente bandierine, il messaggio sottotraccia.

L’immagine che si vuole restituire è di un esecutivo unito, di una maggioranza che non si lascia scalfire dalle polemiche agostane. Anche il tema dello ius scholae, che nelle settimane scorse ha fatto litigare Lega e Fi, viene messo sul tavolo da Tajani ma riposto nel cassetto, perché si va avanti sul programma di governo, riforme ‘fuori sacco’ troveranno spazio solo se c’è piena convergenza tra gli alleati. E sul tema della cittadinanza Salvini e il leader azzurro non potrebbero essere più distanti.

Il 'giallo' della nota su Kiev corretta

Ma è a vertice e Cdm ormai conclusi che scoppia il caos, con una ‘svista’ sulla nota congiunta del centrodestra che lascia spazio a molti dubbi. La Lega diffonde il comunicato in simultanea con lo staff di Meloni, ma la nota differisce in un passaggio fondamentale, ovvero sulla linea dell’Italia nella guerra in Ucraina, tema che registra, come noto, sensibilità diverse. Nel testo diffuso dal Carroccio, poi rettificato dalla Lega a stretto giro, si confermava sì l’appoggio a Kiev, ma si specificava la contrarietà “a ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini”. Contrarietà poi prontamente sbianchettata.

“Il testo (inviato per errore ma subito corretto) - si trova ad intervenire Matteo Salvini per spegnere il giallo - è stato modificato in pieno accordo con tutti gli altri leader solo per scelta stilistica e non di contenuto”. Dunque, “si tratta di un semplice errore, abbiamo ribadito la linea del governo che la Lega ha sempre sostenuto”. Una svista, a voler credere nella buona fede e nell’assenza di un errore volontario, che ha tuttavia finito per gettare ombre sull’azione di ‘pacificazione’ portata avanti dalla premier. Azione che ha toccato anche il tema dell'autonomia, caro alla Lega e miccia di liti e dissidi in un agosto di fuoco.

In Cdm, infatti, Meloni punta il dito contro "la narrazione, distorta, della sinistra che ci dipinge come nemici del Mezzogiorno, che vogliono umiliare il Sud e spaccare l'Italia con l'autonomia differenziata. Perché non possono dire la verità, e cioè che con questo governo gli investimenti al Sud sono aumentati del 50%, che significa che si poteva fare anche prima, ma non è stato fatto", accusa.

La premier rivendica quelli che considera i successi del suo governo, a cominciare dal "cambio di passo" sull'immigrazione, con una sforbiciata degli sbarchi del 64%. E il Piano Mattei, che invita a sostenere anche quando alla guida di Palazzo Chigi ci saranno altri, "superando steccati" per il "bene del Paese". Torna poi ad assicurare che modificherà le storture della legge Bossi-Fini, con una misura che approderà presto in Cdm, e ribadisce che il 'modello Caivano' verrà esportato in altre periferie difficili, che la promessa fatta un anno fa verrà mantenuta. "Dobbiamo andare avanti senza paura - incita la squadra di governo - perché abbiamo promesso che avremmo lasciato un'Italia migliore di come l'abbiamo trovata e se questo è l'obiettivo dobbiamo entrare a fondo nei problemi e risolverli con coraggio. Cambieremo le cose che non funzionano e faremo quello che va fatto. Saranno solo gli italiani, alla fine della legislatura, a giudicarci".

Il governo ha davanti a sé sfide complesse, a cominciare dal piano di rientro con cui dovrà convincere Bruxelles, con una sforbiciata al disavanzo strutturale di almeno lo 0,5% annuo, vale a dire circa 10 miliardi l'anno da qui a 7 anni. Un'impresa titanica, con la premier che potrà sì contare su Fitto, ma che con lui perde una pedina fondamentale a Roma. Che, salvo sorprese, non intende sostituire: Meloni terrà per sé l'interim, le deleghe ora in capo al 'golden boy' di Maglie distribuite e Palazzo Chigi, tra Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. Anche per evitare che, toccando una pedina, si generi un effetto domino, accendendo gli appetiti degli alleati e minando l'equilibrio su cui regge il governo. Perché - Andreotti docet - a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina.

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