Per il verdetto potrebbero volerci anni, ipotesi misure cautelari. Il nodo del 'dolus specialis', il piano di Gallant per il dopoguerra nella Striscia come strumento di difesa per lo Stato Ebraico. Usa: "Accuse infondate"
Potrebbero volerci anni perché la Corte internazionale di giustizia (Cig) emetta il suo verdetto sul ricorso presentato dal Sudafrica contro Israele per il crimine di genocidio a Gaza. All'Aja, tra le manifestazioni sia pro-Israele che pro-palestinesi, si è aperto il procedimento che vedrà una prima sfida tra accusa e difesa: l'apertura è toccata al Sudafrica, rappresentata dall'avvocata Adila Hassim, con la possibilità di esporre la propria tesi davanti ai 15 giudici eletti dall'Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Domani invece sarà la volta della difesa di Israele.
Non è la prima volta che la Cig viene chiamata a pronunciarsi sull'accusa di genocidio. L'Ucraina ha citato la Russia per questo crimine a seguito della sua invasione del 2022. Ma in quel caso il ricorso vedeva protagonisti i due Paesi direttamente coinvolti nella guerra, mentre il Sudafrica è un attore terzo nella disputa tra Israele e Hamas. Anche in questo caso c'è un precedente. Nel 2019 il Gambia ha presentato un'istanza contro il Myanmar per i presunti atti di genocidio commessi contro il popolo Rohingya. Sul motivo che ha spinto il Sudafrica ad imbarcarsi in questo procedimento va considerato che il partito al governo, l'African National Congress (Anc), storicamente sostiene l'Olp e da tempo paragona il trattamento riservato da Israele ai palestinesi con quello dei neri sudafricani durante l'apartheid.
La Corte istituita nel 1945, che solitamente si occupa di questioni di confini e sovranità, è il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite e risolve controversie tra Stati: non si occupa quindi di accertare i crimini individuali, di competenza invece della Corte penale internazionale (Cpi) e con cui non va confusa sebbene entrambe abbiano sede a L'Aja.
Nel ricorso presentato dal Sudafrica si chiede alla Corte di determinare se i comportamenti di Israele rappresentino violazioni della Convenzione contro il genocidio di cui fanno parte sia Tel Aviv che Pretoria. Lo Stato sudafricano, nello specifico, accusa Israele non solo di commettere atti di genocidio, ma anche di una mancata prevenzione e repressione di atti di genocidio imputabili alle truppe. La Convenzione, infatti, vieta agli Stati gli atti di genocidio, ma prevede anche il loro obbligo di prevenire e reprimere i corrispondenti atti individuali.
Dimostrare l'accusa di genocidio è un compito molto complicato anche alla luce delle divergenze in atto - e rese pubbliche - fra i membri del governo di Tel Aviv relativamente al futuro di Gaza. In questa controversia, infatti, tutto ruota attorno alla possibilità dell'accertamento da parte dei giudici del 'dolus specialis', l’elemento soggettivo costitutivo del genocidio. Perché uno Stato venga ritenuto responsabile di un atto di genocidio o un individuo responsabile del corrispondente crimine, infatti, non bastano gli atti, che sono l'elemento oggettivo del genocidio - uccisioni, torture, ma anche le condizioni invivibili imposte ai palestinesi di Gaza -. E' fondamentale dimostrare l'elemento soggettivo, ovvero l'intento della "distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, razziale, etnico o religioso", come recita la Convenzione.
Ciò significherebbe, nel caso in questione, l'intento di distruggere i palestinesi di Gaza, non necessariamente da un punto di vista fisico (secondo i palestinesi si contano oltre 23mila morti), ma soprattutto nell'aspetto della tenuta del gruppo in sé e del suo futuro su quel territorio.
Su questo punto le dichiarazioni di esponenti del governo israeliano sono state contraddittorie. Se il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha manifestato l'intento di voler cancellare i palestinesi dalla Striscia, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha elaborato un piano per il post-guerra che mantiene la presenza dei palestinesi nell'enclave. E non è un caso che questo piano sia emerso dopo il ricorso del Sudafrica: potrebbe configurarsi come una mossa politica da utilizzare nella difesa davanti alla Cig.
Cosa dobbiamo aspettarci allora dalla Corte nell'immediato? Secondo diversi giuristi, nel giro di alcune settimane la Cig potrebbe decidere misure cautelari, chiedendo genericamente di fermare il conflitto e poi decidere nel merito. Inoltre potrebbe sostenere che i comportamenti di Israele rischiano di configurare un atto di genocidio ad opera dello Stato.
Per ottenere queste misure cautelari, il Sudafrica non ha bisogno di provare che sia avvenuto un genocidio, ma dimostrare che la Corte ha giurisdizione 'prima facie' e che alcuni degli atti oggetto del ricorso - in questo caso il bilancio delle vittime e lo sfollamento forzato dei palestinesi a Gaza - potrebbero rientrare nella Convenzione sul genocidio. Il verdetto della Cig sarà definitivo e non potrà essere appellato, tuttavia, la Corte non ha gli strumenti per far rispettare le sue decisioni: una sentenza sfavorevole sarebbe dannosa per Israele solo a livello di reputazione e costituirebbe un precedente legale.
"Noi abbiamo detto più volte che questo caso non è valido, non sono fondate le accuse di genocidio ad Israele", ha detto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby. "Non sono parole che devono essere usate alla leggera - ha aggiunto - e certamente non crediamo che siano applicabili a queste situazione".