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Cavi sabotati, sospetti su nave cinese. Rizzi (Ecfr), 'difficile provare intenzionalità danno'

Il cargo Yi Peng 3, battente bandiera cinese e salpato da un porto russo, è ancorato in acque danesi e potrebbe essere soggetto a controlli. Un 'cambio di passo notevole' per la reattività europea, spiega l'esperto

 - freeimageslive.co.uk / SeaquestDS
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20 novembre 2024 | 12.48
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Una nave battente bandiera cinese, sospettata di aver tranciato due cavi dati nel Mar Baltico, è ancorata nei pressi di Kattegat e possibilmente soggetta a controlli da parte delle autorità danesi. Come spiega Alberto Rizzi, Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations, “anche con ispezione e conferma della responsabilità resta la difficoltà di provare l’intenzione del danno, ed è proprio su questo che giocano gli attori rivali come Mosca. In ogni caso il comportamento della Danimarca, la cui Marina militare ha scortato la nave, segna un notevole cambio di passo da parte europea rispetto ai sabotaggi dello scorso anno”.

I dati mostrano che la Yi Peng 3 si trovava nell’area quando due cavi sottomarini per le telecomunicazioni – uno steso tra Lituania e Svezia, l’altro tra Germania e Finlandia – sono stati tranciati nella notte tra domenica e lunedì. “Sembra che la nave abbia rallentato in corrispondenza dei cavi e lì abbia manovrato, un comportamento compatibile con l’azione di mollare l’ancora per tranciare un cavo. Non c’è motivo di ancorare in quelle posizioni, né rimanerci stazionari. A livello orario i passaggi corrispondono con le due rotture: il sospetto è decisamente valido”, spiega Rizzi.

Le autorità svedesi e finlandesi hanno aperto un’indagine preliminare. Dal canto suo, Rizzi condivide la posizione tedesca: si tratta di un sabotaggio, come probabilmente lo fu quello dell’anno scorso, avvenuto sempre nel Mar Baltico. I sospetti si concentrarono sulla Russia quando la nave cinese Newnew Polar Bear tranciò due cavi sottomarini (e un gasdotto) stesi tra Estonia, Finlandia e Svezia. Lo stesso sospetto, spiega l’esperto, si applica al nuovo incidente.

Il governo cinese ha chiesto alla Ningbo Yipeng, la società di navigazione dietro alla Yi Peng 3, di collaborare alle indagini, ha detto un rappresentante al Financial Times. “Come nel caso della Newnew Polar Bear, la Cina si mostra relativamente disponibile a collaborare, ma difficile pensare che abbiano realmente interesse a far proseguire le indagini”, commenta Rizzi. Al momento non c’è stata alcuna reazione da parte di Pechino, e “sappiamo che la Russia non proferirà parola a riguardo”.

Della nave in sé si sa relativamente poco. La Yi Peng 3 è una bulk carrier (portarinfuse, progettata per trasportare prodotti sfusi come i cereali) di lunghezza e mole sufficienti per poter tranciare i cavi. Prima di essere registrata in Cina ha portato le bandiere della Grecia, delle Isole Marshall e della Liberia; dunque, il dato non è troppo indicativo. Però proveniva dalla Russia: aveva ancorato a Murmansk e poi a Ust-Luga, città russa affacciata sul Golfo di Finlandia. Sempre che i dati dei transponder (i localizzatori) fossero corretti, precisa l'esperto: “Sappiamo che le navi che hanno a che fare con la Russia hanno la tendenza a spegnerli, talvolta”.

Per Rizzi sarebbe fin troppo facile tracciare un collegamento tra l’incidente e il via libera statunitense all’Ucraina per colpire il territorio russo in profondità con i missili Atacms, ma in effetti la Yi Peng 3 era partita dai porti russi prima che ciò avvenisse. A ogni modo, se davvero si trattasse di sabotaggio, è un genere di operazione che la Russia fa da quando ha invaso l’Ucraina nel 2022. Il trancio dei cavi in particolare “costa molto poco, avviene in una zona grigia in cui non si possono attribuire responsabilità dirette, e provoca un danno minore”: riparazioni del genere solitamente richiedono dai 5 ai 15 giorni.

C’è consenso tra gli addetti ai lavori riguardo all’alta probabilità che dietro a episodi del genere ci sia il Cremlino. Questo genere di guerra ibrida finora è stato portato avanti “in maniera praticamente impunita”; sono stati rotti diversi cavi; “un po’ troppi perché sia una coincidenza”, evidenzia Rizzi. Tuttavia, continua, non si tratta di un’escalation. “Può essere anche un modo di testare la reazione dell’Europa, che dal lato di chi lo fa è relativamente economico: basta l’ancora di una nave”.

Con il moltiplicarsi degli incidenti è salita anche l’attenzione occidentale verso il dominio subacqueo, che riveste un ruolo più centrale anche negli ultimi documenti strategici Nato. L’underwater “era stato un po’ lasciato fuori dai radar, mentre ora c’è più consapevolezza e diffusione”. Uno sviluppo importante per alzare il livello di resilienza, continua l’esperto. Il monitoraggio è complesso per via della lunghezza dei cavi subacquei; le capacità dipendono dai singoli Paesi, ma anche nel Mar Baltico, che è relativamente piccolo e chiuso, è impossibile garantire una piena copertura.

Secondo Rizzi la soluzione passa dal rafforzare le capacità di riparazione: “più navi hai e più rotture, anche contemporanee, puoi gestire”, riassume. Dopodiché serve rafforzare la resilienza delle aree più isolate, come, appunto, le isole, aumentando le connessioni per poter ridistribuire il traffico alla bisogna; le alternative satellitari sono molto più costose e meno facili da predisporre, spiega. Per i governi sarebbe opportuno anche stringere accordi con le compagnie che stendono e operano i cavi – gestiti sempre meno dai Paesi e sempre più da compagnie private – allo scopo di definire modi per monitorare l’infrastruttura e dare priorità al traffico dei dati più essenziali, come le comunicazioni militari e le transazioni bancarie, ove ci fossero limiti di banda. E infine, conclude, i Paesi stessi potrebbero “intervenire in maniera più rigida e tempestiva, nei limiti del diritto marittimo” quando emerge il sospetto di sabotaggio – “come sembra aver fatto Copenaghen”.

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