La nuova opera del regista napoletano, apprezzato in Italia ed all’estero, rappresenterà il nostro Paese in uno dei più importanti festival internazionali di teatro
Roma, 2 Novembre 2021. È grande attesa a Sharm el Sheikh per la messa in scena della Sofia Amendolea, con lo spettacolo “The Last Flowers” di Fabio Omodei. Ben 20 i Paesi partecipanti, oltre 200 gli attori professionisti, con ben 40 spettacoli da tutto il mondo.
Presenti alla cerimonia d’Inaugurazione oltre lo spettacolo di Omodei, che avrà l’onore di aprire il Festival, numerose televisioni, agenzie stampa, radio e quotidiani internazionali.
Questi i numeri della grande kermesse egiziana che andrà in scena dal 6 al 12 novembre prossimi, presso il Teatro Nazionale di Sharm el Sheikh.
Lo spettacolo “The Last Flowers” racconta del nostro pianeta abitato solo da 9 persone che stanno tentando di salvare il genere umano. Sofia è l’unica speranza di salvare il mondo, l'ultima opportunità per il pianeta terra. Per questo nel corso dello spettacolo attraversa diverse epoche, che hanno tutte un elemento in comune: la guerra. E Sofia è la speranza, e i fiori sono la speranza.
Ma qual’è la situazione oggi del teatro italiano?
“Sicuramente c’è una ripresa ma non basta. Non bisogna pensare che con l’apertura al 100% abbiamo risolto tutti i nostri problemi. Mi fa paura in questo momento la fatica ed il sacrificio che fanno i piccoli teatri e le piccole compagnie”, racconta il regista Fabio Omodei.
”Molti purtroppo hanno chiuso, chi rimane è coraggioso e va sostenuto, perché i piccoli teatri in Italia sono il cemento del nostro mestiere. É dove tutto nasce. Nei grandi teatri le stagioni non sono più cosi lunghe e le compagnie professionali rimangono in scena un fine settimana o due e poi vanno via. Ci avevano promesso una politica di rilancio del teatro, ma dov’è? Io non la vedo. Bisogna riportare la gente ad avere fiducia nel teatro. Non possiamo vivere con l’ansia di avere un’equazione fissa, come un incubo nella nostra testa, “contagi alti uguale teatri chiusi”, continua Omodei, che è tra i registi in Europa con più partecipazioni a festival internazionali (oltre 100 ) e con più premi e riconoscimenti internazionali vinti.
Quanto è felice di quello che ha fatto fino ad oggi?
“Non conta. Conta quello che farò domani. Sono felice del mio percorso e sono felice di aver portato i miei spettacoli nei teatri di tutto il mondo, anche se nel nostro mestiere non fai in tempo a goderti un momento che devi subito pensare al “prossimo” e devi farlo al meglio. Il nostro “prossimo” è il 6 novembre, al Teatro Nazionale di Sharm el Sheikh, alle ore 21.00.
In un momento così delicato per il pianeta come riesce un attore a salire sul palcoscenico per preparare uno spettacolo così importante?
“Non ci sono alibi, non ci sono scuse, il pubblico arriva in sala e vuole godersi un’ora e mezza di spettacolo senza pensare alle difficoltà, senza pensare ai problemi.
Noi abbiamo il dovere di rappresentare l’Italia al meglio avendo come priorità il palcoscenico, niente più. Il palco diventa il primo obiettivo quando ti svegli e l’ultimo quando vai a letto, e se possibile devi anche sognarlo. Grazie a questo si può lavorare anche 18 ore al giorno, in caso contrario c’è solo il fallimento”, dice ancora il regista.
È facile trovare oggi attori che rispondono a questa esigenza?
“È difficilissimo, ma non credo sia solo un problema di età. È una questione di mentalità. Ho visto giovani attori capaci di rimanere concentrati durante le prove per molte ore con un obiettivo chiaro davanti ai propri occhi, ne ho visti altri che si distraggono dopo un minuto. Noi possiamo tracciare la strada, ma il teatro farà comunque la sua selezione”.
Nell’ultima partecipazione al Festival di Sharm el Sheikh, lo spettacolo “Illusion” vinse il prestigioso Premio Speciale della Giuria, presente anche il maestro Eugenio Barba.
Che difficoltà può avere un attore nell’affrontare uno spettacolo così difficile in un contesto così importante?
“La più grande difficoltà nel lavorare ad uno spettacolo di Omodei è mettersi in gioco. E con mettersi in gioco intendo sia a livello personale che come attrice. Per lavorare in un suo spettacolo è necessario essere pronti sia dal punto di vista emotivo che da quello fisico, e talvolta questo rappresenta una vera sfida, ecco perché credo che per affrontare un tipo di lavoro di questo genere, sia fondamentale per noi affidarsi a quelle che sono le richieste effettuate dal regista”, spiega Raffaella Montanaro, attrice dello spettacolo.
“The Last Flowers” racconta di una pandemia che ha quasi cancellato l’essere umano dal pianeta. Come si affronta una tematica così attuale, così presente nella mente delle persone di tutto il mondo?
“Bisogna procedere a piccoli passi e soprattutto affrontarla, con delicatezza e rispetto. Delicatezza per tutte le persone che ancora oggi combattono contro questo virus, rispetto per tutte le vittime della pandemia. Motivo per cui, bisogna avere anche un pizzico di coraggio. Noi dobbiamo prendere esempio dal coraggio che ha avuto il nostro regista nello scrivere e mettere in scena questo spettacolo”, spiega Achiropita Bosco, attrice dello spettacolo.
É una rappresentazione che lascia nella mente dello spettatore la speranza?
“La speranza è il fulcro dello spettacolo. In un futuro arido, l'essere umano non esiste più e gli ultimi nove sopravvissuti sono diventati delle macchine costretti a ricaricarsi con la luce del sole. Dunque, quello che “The Last Flowers” vuole trasmettere allo spettatore è che l'uomo per la prima volta può scegliere di non commettere gli stessi errori del passato e creare un mondo migliore in cui si può tornare a sorridere”, conclude Achiropita Bosco.
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