"Occorrerebbe trovare i veri responsabili, che a distanza di 20 anni non sono mai stati trovati"
“Resta ancora l’amaro in bocca per quanto accadde, perché giustizia non è stata fatta”. A dirlo all’AdnKronos è Angelo Cenni, uno dei sette capisquadra del VII Nucleo del Reparto Mobile di Roma condannati per i fatti della scuola Diaz. “C’è un libro – osserva Cenni -, si intitola ‘G8, processo al processo’, scritto da Roberto Schena. E lì ci sono delle belle verità emerse dalle carte processuali, carte di cui però non si è mai tenuto conto nelle sentenze emesse. Ci sono responsabili mai cercati nonostante ci fosse già tutta la documentazione per poterli individuare con nomi e cognomi. Ma di fatto siamo stati condannati solo noi sette”.
Michelangelo Fournier, all'epoca vicequestore aggiunto del Primo reparto mobile di Roma comandato da Vincenzo Canterini, definì i fatti della scuola Diaz ‘macelleria messicana’. “Una macelleria che si poteva evitare se all’interno di quella scuola ci fossimo stati soltanto noi – sottolinea Cenni -, ma di fatto c’erano altre centinaia di poliziotti mai chiamati in giudizio, né mai è stata svolta una seria indagine per scoprire che cosa hanno fatto. Le sentenze prendono atto della loro presenza, ma non sono mai stati indagati”.
Genova, prosegue Cenni, “fu distrutta, è tutto documentato, ma questo non giustifica quanto accaduto alla Diaz, non può giustificarlo, però occorrerebbe trovare i veri responsabili, che a distanza di 20 anni non sono mai stati trovati. Anche il pm Zucca ha dichiarato che i veri responsabili sono ai vertici”.
Di una cosa Cenni si dice certo: “Se oggi incontrassi le vittime della scuola Diaz, direi loro che quello fu un vero e proprio orrore, ma non fatto da noi. Anche se il processo dice un’altra verità, i fatti non sono mai stati approfonditi. Noi non siamo gli autori di quell’orrore, di quello che è successo. E la stranezza di tutta questa storia è che hanno trovato solo sette persone su quasi 400. È allucinante. Eppure noi abbiamo fatto solo il nostro dovere”.
POLIZIOTTO 'DRAGO' - “Un vecchio detto dice ‘credi nella giustizia e sarai giustiziato’. No, per quanto accadde nella scuola Diaz non è stata fatta giustizia. È stato celebrato un processo ‘politico’…”. Così all’AdnKronos Gianluca Salvatori, alias ‘Drago’, che al G8 di Genova del 2001 faceva parte del Settimo nucleo antisommossa che fece irruzione alla scuola Diaz. L’agente ‘Drago’ si sofferma, dunque, su quella che Michelangelo Fournier definì ‘macelleria messicana’.
“Fournier rimane un grandissimo comandante, un grandissimo dirigente – afferma -, rimarrà sempre il mio comandante. Quello che lui disse fu un esempio di lealtà e onestà. In quella scuola entrarono tantissime persone, non ci conoscevamo neanche fra noi. Era impossibile identificarli tutti. Io stesso non ne sarei in grado. Alla fine, però, hanno colpito l’anello debole della polizia. Canterini fu molto chiaro, disse che non c’era bisogno di entrare. Noi del Nucleo speciale sconsigliammo di entrare, ma purtroppo dall’alto, e non dai vertici della polizia, ma ‘dall’alto’, decisero l’intervento. Quelle persone hanno vissuto un’esperienza tragica, come l’ho vissuta io, perché anche noi abbiamo preso le botte”.
Ed è proprio a questo proposito che Drago si sofferma su un altro episodio: “Avevamo davanti i Black Bloc, ma si facevano scudo dei manifestanti estremamente pacifici della rete Lilliput. Per non caricarli, perché sapevamo che avremmo fatto del male a persone pacifiche, ci hanno decimato il VII Nucleo. Per le sassate e le botte prese coi tubi innocenti, metà di quel Nucleo è finito in ospedale. Ma nessuno lo dice”.
“A Genova – conclude Drago – è andato tutto storto. La città fu distrutta, ma nel corso degli anni se ne sono dimenticati. Ma di una cosa sono certo: quello che accadde 20 anni fa al G8, oggi non accadrebbe più, per il semplice motivo che molte cose sono cambiate proprio a seguito di quei fatti, ad esempio l’istituzione della Scuola di formazione di ordine pubblico e un’elevazione del grado di comprensione di quello che succede nelle piazze da parte dei dirigenti della polizia. E probabilmente è cambiata anche la politica, che quasi sempre è responsabile di ciò che accade nelle strade, per il semplice motivo che la polizia non fa altro che fungere da ‘tamburello’ delle diatribe politiche. Ma ripeto, oggi non accadrebbe più, anche perché la società è cambiata, si è evoluta, sarebbe tutto completamente differente”.