"La figura di Cossiga sicuramente ha una sua originalità e una sua particolarità nella storia della Repubblica: non può essere omologato nella categoria dei presidenti 'normali', è stato eccentrico e anticonformista. Nel bene e nel male, perché non è possibile dimenticare quello che nella sua prima fase di vita politica ha compiuto". Lo dice all'AdnKronos Sergio D'Elia, ex di Prima Linea e oggi segretario di Nessuno tocchi Caino, la lega internazionale di cittadini e di parlamentari per l’abolizione della pena di morte nel mondo, in occasione del decennale della scomparsa di Francesco Cossiga.
"Non si possono dimenticare la gestione dell'ordine pubblico in occasione delle manifestazioni per il divorzio - continua D'Elia - il suo comportamento dopo l'assassinio di Giorgiana Masi, un tentativo di usare il problema della sicurezza e dell'ordine pubblico a fini autoritari. Cossiga è stato anche questo, ma è stato anche nella ultima parte della sua vita politica e istituzionale quello che ha posto un freno alla magistratura".
Per D'Elia le luci prevalgono sulle ombre: "Di lui ricordo una cosa per cui alla fine prevale un apprezzamento per questa figura: è ciò che disse sulla strage di Bologna. Cossiga non solo disse che non era opera di Fioravanti e Mambro, e su questo non c'erano dubbi, ma in generale non era opera dei fascisti: spezzò quel luogo comune per cui lo stragismo italiano equivaleva al fascismo. Ha avuto il coraggio di dirlo, un coraggio che forse avrebbe potuto portare alle estreme conseguenze svelando le verità che non potevano essere rivelate, andare a toccare i santuari del potere. Aveva il potere di farlo? Questo non lo so, pubblicamente però ha espresso il suo pensiero che pone la certezza sul fatto che quella strage è impunita e i parenti delle vittime sono vittime anche della negazione della verità".
Qualche giorno fa è stato svelato un carteggio tra l'ex capo dello Stato e alcuni brigatisti in carcere. "Se questa notizia può farci vedere lo scontro di quel tempo sotto altri aspetti? Sono perplesso - risponde D'Elia -. Cossiga era convinto che quella delle Brigate Rosse fosse un'autentica lotta armata finalizzata alla presa del potere politico in Italia, secondo lo schema classico del rivoluzionismo internazionale: questo giustificava la risposta dello Stato, che per difendersi da una guerra doveva rispondere a sua volta facendo la guerra alle Br. Non mi convince questo schema, coerente con il suo pensiero, perché è incommensurabile la forza militare, il potere della repressione dello Stato rispetto a un manipolo di militanti rivoluzionari che non potevano mettere minimamente in discussione lo schema della rivoluzione d'ottobre".