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Covid, Iss: "Positive 875 donne incinte in prima ondata, nessuna morte"

Immagine di repertorio (Fotogramma)
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03 dicembre 2020 | 16.18
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Durante la prima ondata della pandemia di Covid-19, sono state 875 le gravidanze portate avanti da donne positive al virus: tra loro non si è registrato alcun decesso e il tasso di cesarei è stato in linea con quello nazionale registrato prima della pandemia. E' quanto emerge dai dati del progetto sull'infezione da Sars-CoV-2 in gravidanza, al parto e in puerperio, coordinato dall'Italian Obstetric surveillance system (ItOss) dell'Istituto superiore di sanità (Iss), la rete di sorveglianza che dal 2013 raccoglie dati e studia la mortalità e la morbosità grave materna.

Dai dati relativi al periodo 25 febbraio, data del primo caso ostetrico in Italia, al 30 settembre 2020, data di conclusione della prima ondata pandemica, il tasso di incidenza dell'infezione da Sars-CoV-2 nelle 667 donne che hanno partorito è pari a 2,9 casi per 1.000 parti a livello nazionale: 5,3/1.000 nel Nord; 1,6/1.000 nel Centro; 0,6/1.000 al Sud del Paese e 8,9/1.000 in Lombardia che ha segnalato il 53% dei casi complessivi. La variabilità del tasso - rileva l'Iss - rispecchia la diversa circolazione del virus nel periodo preso in esame ed è coerente con i dati dell'indagine di sieroprevalenza condotta dell'Istat in collaborazione con il ministero della Salute.

Quanto al dato sulla mortalità, l'indagine rileva che, al 30 settembre, sono state registrate 6 morti in utero e una morte neonatale, ma tutte non riconducibili al coronavirus e nessuna morte materna. E ancora: la trasmissione del virus da madre a neonato sembra possibile, ma molto rara e non influenzata dalla modalità del parto, dall'allattamento o dal rooming-in. Sul totale dei 681 neonati presi in esame, solo 19, pari al 2,8%, sono risultati positivi al virus dopo la nascita; solo uno ha avuto complicazioni respiratorie risolte dopo ricovero in terapia intensiva.

L'indagine ha rilevato sostanzialmente che le caratteristiche e gli esiti clinici delle 667 donne contagiate sono simili a quelli descritti per la popolazione generale. La maggior parte ha sviluppato una malattia da lieve a moderata e solo il 2% della coorte è stato ricoverato in terapia intensiva. Complessivamente, il 18,6% delle donne ha sviluppato una polmonite interstiziale da Covid-19. La percentuale di parti pretermine ha riguardato il 13% delle gravidanze, quasi il doppio del tasso nazionale, ma il 71% di questi casi è ascrivibile alla decisione di anticipare il parto e non alla sua insorgenza spontanea.

Il tasso di tagli cesarei è stato pari al 34%, in linea con il tasso nazionale. Questo dato - rilevano i ricercatori - evidenzia come, anche durante la fase acuta della pandemia, i clinici abbiano saputo rispettare le raccomandazioni internazionali in cui si legge che l'infezione da Sars-CoV-2 non rappresenta indicazione al cesareo. Le regioni del Centro-sud hanno mantenuto l'abituale maggiore proporzione di cesarei rispetto al nord del Paese. Il 51% delle donne ha potuto avere accanto una persona di sua scelta durante il travaglio/parto e il 54% dei neonati è potuto rimanere accanto alla mamma; di questi, il 27% ha praticato il contatto pelle-a-pelle. Durante il ricovero il 69% delle mamme e dei neonati hanno potuto condividere la stessa stanza, e il 76% dei piccoli ha ricevuto il latte materno.

Questi valori medi, stimati sull'intero periodo della prima ondata della pandemia, nascondono un trend in miglioramento delle pratiche assistenziali del peri-partum. Nei mesi iniziali infatti, a causa dell'indisponibilità di evidenze scientifiche solide, alla nascita le mamme sono state più spesso separate dai bambini mentre successivamente, anche grazie a una migliore organizzazione dell'assistenza, i dati descrivono un maggiore rispetto della fisiologia della nascita e una maggiore attenzione nel favorire il contatto madre-bambino, il rooming-in e l'allattamento.

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