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Silvia Romano, il giallo del riscatto pagato per la liberazione

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10 maggio 2020 | 15.30
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Riscatto pagato oppure no? E' un giallo, come ce ne sono stati in passato, quando dietro al presunto pagamento di denaro per la liberazione di altri rapiti italiani si sono scatenate furibonde polemiche, in casa ma anche con i nostri alleati. Stavolta il giallo riguarda la liberazione di Silvia Romano, la cooperante liberata ieri a 30 chilometri da Mogadiscio dopo il rapimento avvenuto 18 mesi fa in Kenya, nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi. Di riscatto, finora non confermato ma neppure smentito dall’intelligence italiana, parlano oggi molti quotidiani nelle loro ricostruzioni. Il Corriere della Sera, ad esempio, scrive che, dopo aver avuto la certezza che Silvia Romano fosse in vita, l’intelligence ha dato il "via libera all’ultima fase della trattativa" e all’autorizzazione del "pagamento del riscatto". E quando "diplomazia e intelligence, coordinati dal direttore dell’Aise Luciano Carta, capiscono che il canale aperto per arrivare al gruppo fondamentalista di Al Shabab è buono", spiega il Corriere, "si procede, consapevoli che più passa il tempo più sale il prezzo del riscatto". Il pagamento per la liberazione, dunque, viene dato ancora una volta per certo.

"Gli emissari del gruppo", aggiunge il Corriere, "fissano il prezzo finale, dopo i soldi versati per pagare i vari contatti. Per avere un’idea, nel 2012 la liberazione di un ostaggio inglese costò al suo paese l’equivalente di 1 milione e 200mila euro. Il problema non è il denaro da versare, ma avere la certezza di trattare con le persone giuste. Ecco perché ci si coordina con somali e turchi". Infine lo scambio, a 30 chilometri da Mogadiscio, in una zona poco sicura, in uno scenario che fa registrare esplosioni di mortaio nello stesso territorio e una pericolosa alluvione. "L’incontro è fissato per venerdì sera – scrive il Corriere -, è già notte quando Silvia arriva accompagnata dagli emissari dei sequestratori".

Di riscatto, stavolta quantificato, parla anche Il Giornale. "Una volta che i nostri 007 hanno avuto la prova che fosse in vita – scrive -, sono partite le trattative per stabilire il prezzo del rilascio. Il governo italiano ha negato per il momento che sia stata versata una cifra per la liberazione, anche se funzionari vicini al ministro degli Esteri somalo Ahmed Isse Awad sostengono che l’Italia abbia pagato ai rapitori una cifra vicina ai 4 milioni di euro". Fonti somale dell’AdnKronos parlano, invece, di un riscatto di 1,5 milioni di euro. Silvia Romano sarebbe stata accompagnata fuori dalla zona controllata dai fondamentalisti di Al Shabad fino a una strada principale dove ci sono anche dei check-point. A portarcela sarebbero stati, presumibilmente, dei "mediatori" non appartenenti al gruppo terroristico, e da lì portata al compound dell’Onu.

Di riscatto parla anche il Fatto Quotidiano, secondo il quale il gruppo jihadista ha consegnato Silvia a un contatto locale individuato dai nostri 007, e venerdì notte, "in un territorio impervio e fangoso, è avvenuto lo scambio: il rilascio dopo il pagamento di un riscatto". La Repubblica riporta qualche particolare in più. Una fonte, infatti, spiega al quotidiano che "i rapitori avevano tutto l’interesse" a far stare bene Silvia Romano perché "l’unico loro obiettivo era intascare più denaro possibile". E "sembra certo – scrive Repubblica -, seppure non arriva alcuna conferma ufficiale, che per la sua liberazione sia stato pagato almeno un riscatto, visto che la ragazza è passata per non meno di tre covi e nelle mani di molti sequestratori".

Una storia che si ripete, dunque, come avvenuto molte volte in passato, ad esempio con Daniele Mastrogiacomo, giornalista di Repubblica rapito a Kandahar, in Afghanistan, il 5 marzo del 2007, e liberato 14 giorni dopo. In quel caso la consegna di Mastrogiacomo avvenne nel momento in cui il governo dell’allora presidente afghano Karzai cedette alle pressioni del governo italiano guidato da Romano Prodi (ministro della Difesa era Arturo Parisi e ministro degli Esteri Massimo D’Alema) e accettò di liberare, come chiesto dai rapitori, quattro talebani prigionieri in Afghanistan.

A parte le proteste di Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche Olanda e Germania, per via della "trattativa" coi terroristi, poco dopo, novembre del 2010, fu Mario Calabresi sulla Stampa a parlare esplicitamente di un riscatto pagato da parte del governo Prodi. La notizia venne smentita dall’Esecutivo, ma Calabresi ribadì quanto scritto citando fonti del Dipartimento di Stato americano. Ma di polemiche, sospetti e gialli sul pagamento del riscatto per ottenere la liberazione degli ostaggi italiani, dato quasi per scontato da alcune fonti e quasi sempre smentito da quelle ufficiali, è piena la cronaca. E ormai la storia.

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