Un anno e dieci mesi per Nuti, Di Vita e Mannino
di Elvira Terranova
La stangata per gli ex deputati grillini è arrivata dopo quasi cinque ore di Camera di consiglio. E' il primo verdetto nel processo per le firme false del M5S di Palermo che vede coinvolti tre ex deputati nazionali e due ex parlamentari regionali siciliani. Che sono stati tutti condannati, come chiesto dalla Procura. Sono state in tutto dodici le condanne emesse oggi e due le assoluzioni, come deciso dal giudice monocratico di Palermo Salvatore Flaccovio, che ha accolto quasi per intero le richieste della Procura. Per gli ex deputati nazionali Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita il giudice ha deciso una condanna a un anno e dieci mesi. Un anno, invece, a Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, ex deputati Ars del M5S. E a Giuseppe Ippolito. Assoluzione per Pietro Salvino e Riccardo Ricciardi, due attivisti. Un anno e dieci mesi anche per Samanta Busalacchi e Toni Ferrara, Alice Pantaleone e Stefano Paradiso. Un anno e sei mesi invece all'avvocato Francesco Menallo e al cancelliere Gianfranco Scarpello. La pena per tutti i condannati è stata sospesa.
Secondo la procura di Palermo, nella notte del 3 aprile 2012, durante la campagna elettorale per le amministrative di Palermo, al comitato del Movimento furono ricopiate migliaia di firme per provare a rimediare a un banale errore su un luogo di nascita di un sottoscrittore. Il timore era quello di non riuscire più a raccogliere le firme necessarie per la presentazione delle liste. Tutto sarebbe avvenuto, secondo l'accusa, su input di Riccardo Nuti, che all'epoca era candidato sindaco. Per scongiurare il rischio di non presentare la lista, avrebbero deciso di ricopiare le sottoscrizioni in loro possesso, correggendo il vizio. Il cancelliere avrebbe dichiarato falsamente che le firme erano state apposte in sua presenza.
Claudia La Rocca è stata tra le prime ad ammettere che, dopo essersi accolti del vizio nei dati anagrafici di uno dei sottoscrittori, si decise di ricopiare le firme raccolte per evitare, visto che mancavano tre giorni alla scadenza, di far saltare tutto. "Tutti i moduli con le firme rischiavano di essere nulli - aveva spiegato in aula la ex deputata che non si è ricandidata nel 2017 perché sotto inchiesta - perciò si decise di ricopiarle. Ma non c'è stata alcuna volontà di commettere un falso ai danni dei nostri sostenitori. Eravamo inesperti, nessuno pensò che potesse essere una cosa tanto grave". A riportare alla ribalta la vicenda erano stati sei servizi delle Iene. Che avevano intervistato uno degli attivisti, Vincenzo Pintagro: "Quando si sono raccolte le firme io ho trovato due persone che le stavano ricopiando'', aveva detto l'attivista. Che lo aveva ribadito anche in aula: "In quella sede dissi subito 'ragazzi ma siete pazzi? Noi stiamo commettendo tutti quanti un reato!'''.
Filippo Roma delle Iene era riuscito anche a ottenere i moduli presentati dal Movimento Cinque Stelle ed era andato a chiedere ad alcuni di quelli che dovevano essere i firmatari se riconoscevano la propria firma: in molti non riconoscevano la calligrafia. Durante il processo un investigatore della Digos aveva testimoniato che su circa duemila persone sentite 1.104 non avevano riconosciuto la propria firma. In pratica più della metà delle sottoscrizioni. Erano stati solo 668 quelli che le avevano riconosciute. L'inchiesta nacque da un esposto anonimo presentato nel 2016. Nei fogli, allegati alla denuncia - cioè i moduli usati per raccogliere le firme - c'era un errore nel luogo di nascita indicato per uno dei candidati al consiglio comunale. E' stata una inchiesta "molto faticosa" che "rivelò per la prima volta l'esistenza di mele marce nel Movimento cinque stelle" e che ci "fa capire che eravamo sulla strada giusta", ha detto Filippo Roma, intervistato dall'Adnkronos. "La nostra inchiesta ha fatto centro - spiega ancora l'inviato delle Iene - Siamo partiti da pochissimi elementi che man mano ci hanno portato a elementi sempre più grossi fino a scoprire la verità, anche se dobbiamo prima aspettare la sentenza definitiva. Ma tutto questo ci fa capire che fin dall'inizio eravamo sulla strada giusta". "Non è stato facile, per la prima volta venne alla luce un comportamento lontano dalla trasparenza e dall'onestà di cui parlava il M5S - dice ancora Filippo Roma - Tutto questo ci causò anche parecchie critiche e offese. Ricordo che fummo sommersi da ondate di messaggi di attivisti che se la prendevano più con noi che con gli autori delle firme false".
L'imputata Claudia La Rocca, che oggi collabora con il gruppo parlamentare del M5S all'Ars, dopo la condanna a un anno di carcere sottolinea: "Adesso é chiaro che non sono una bugiarda e che non ho preso parte a nessun 'complotto', ne ho sentite troppe in questi anni, come se questa storia non avesse leso gravemente anche me e come se la mia scelta di collaborare con i pm fosse stata facile. Ho raccontato la verità, nel bel mezzo di una tempesta mediatica eccessiva e ipocrita, portando quanto accaduto alla sua reale dimensione". "Non abbiamo mai leso la volontà dei sottoscrittori e questo è indubbio, emerso chiaramente durante il processo- dice La Rocca -Abbiamo fatto un errore per ingenuità e mi auguro che chi ha tirato fuori questa storia non subito, ma al momento opportuno per motivi personali e politici, non di certo per senso di giustizia, prima o poi provi vergogna del male causato a tutte le persone coinvolte nel processo, per questo sono contenta per le due assoluzioni". "Per il resto, chiudo questo doloroso capitolo della mia vita, che riguarda un storia vecchia di quasi 8 anni- dice La Rocca- Sono una persona che ha commesso un errore, ma non sono una persona disonesta. Ringrazio il mio avvocato Valerio D'Antoni, per aver tenuto sempre alta la mia credibilità e ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini fin dall'inizio e con sincerità".Tra fine febbraio e inizio marzo i reati contestati andranno in prescrizione. Gli imputati chiederanno di rinunciare?