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Galmozzi presenta libro, bufera su ex Prima Linea

Il figlio del maresciallo Berardi: "Alla fine hanno vinto i terroristi". Alberto Torregiani: "La bilancia pende sempre a favore di Caino". Potito Perruggini: "Non possono essere i carnefici a riscrivere la storia"

Galmozzi presenta libro, bufera su ex Prima Linea
29 novembre 2019 | 15.41
LETTURA: 7 minuti

Tra i fondatori di Prima Linea e condannato per gli omicidi dell'avvocato e consigliere provinciale dell'Msi, Enrico Pedenovi, e dell'agente di polizia Giuseppe Ciotta, l'ex terrorista Enrico Galmozzi torna a far parlare di sé scatenando polemiche in vista della presentazione di un suo libro, stasera, a Torino.

Galmozzi è già finito nella bufera nei mesi scorsi per alcuni post pubblicati su Facebook. L'ex terrorista aveva preso di mira il leader della Lega e allora ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che a luglio scorso aveva dato notizia di aver ricevuto una busta con dei proiettili. "Giù la testa, coglione. Non fare il cinema che ti va di culo: una volta invece di spedirli li consegnavamo di persona...", il commento choc di Galmozzi sul social network. Parole che avevano provocato la reazione del segretario del Carroccio: "Terrorista rosso, condannato per omicidio, oggi mi insulta e minaccia... Strano Paese l'Italia", aveva commentato Salvini, al quale si era aggiunta la dura condanna dei familiari delle vittime, in primis Potito Perruggini, nipote di Giuseppe Ciotta. Sotto accusa, a dicembre dello scorso anno, erano finite anche altre frasi scritte da Galmozzi sui social in difesa di Cesare Battisti. Il personaggio dell'ex terrorista dei Pac, si spingeva ad affermare Galmozzi, è stato "costruito dalla stampa che non solo ne ha fatto un mostro sotto il profilo criminale ma ne ha costruito anche una immagine antipatica".

GLI ORGANIZZATORI - "Chicco Galmozzi, un tempo lontano giovane operaio lombardo, è stato un militante di Prima Linea, condannato per ciò che ha fatto e che, scontata la sua pena, torna ad essere un libero cittadino nel pieno possesso e diritto di esercitare il diritto di parola e opinione - sottolinea in una nota Stefano Alberione, presidente de ‘La Poderosa’, il circolo torinese dove questa sera Galmozzi presenterà il suo libro - Che i protagonisti di allora, sconfitti, raccontino la loro storia la riteniamo una cosa utile affinché questo Paese faccia i conti con quella stagione, consegnandola alla storia, superando le morbosità patologiche di cui anche l’interesse, in fondo eccessivo, per la presentazione di un libro, ne sono sintomo".

"Non condividiamo le sue esternazioni, anche qualora fossero state espresse con intento ironico, quando si riferiscono a persone, anche quelle che può ritenere le peggiori, con una vena nostalgica per le sue pratiche passate", aggiunge Alberione che all’Adnkronos conferma l’appuntamento di questa sera. "Ci interessa discuterne e invitiamo a partecipare al dibattito. La stragrande maggioranza di noi, già all’epoca, contrastarono aspramente la pratica della lotta armata, nel tentativo di evitare che delle vite fossero compromesse da una scelta sbagliata, che vedeva un’insorgenza rivoluzionaria laddove, invece, stava maturando una sconfitta storica, a partire da quella operaia". "Quanto alla violenza, sempre da condannare, ci sembra incommensurabilmente maggiore quella che permette, da postazioni di governo, che delle persone disperate siano lasciate morire, a centinaia, nei nostri mari, o quella che avalla sistematicamente la distruzione del nostro ambiente e del nostro territorio, o quella che costringe le persone a lavorare oltre ogni ragionevole limite di età o, al contrario, al non lavoro o al lavoro precario, sotto pagato e sotto tutelato, che impedisce di programmare una vita dignitosa, di quella, comunque sbagliata, ma verbale, venata da un reducismo sinceramente astorico", conclude Alberione nella nota.

LE REAZIONI - "C'è ormai una certa rassegnazione. Alla fine hanno vinto loro, i terroristi: sono stati deputati, a Torino, da Curcio a Balzerani, sono andati a presentare libri. E inutilmente noi protestiamo". Così Giovanni Berardi, presidente dell'Associazione europea vittime del terrorismo (Asevit) e figlio del maresciallo di polizia Rosario ucciso nel '78 dalle Br, commenta all'Adnkronos "l'ennesima volta" in cui un ex terrorista, in tal caso Enrico Galmozzi, è protagonista di un incontro per la presentazione di un suo libro. "Ex terroristi, che non saranno mai ex assassini, continuano a spadroneggiare nella società, vanno in tv, scrivono libri, prendono il reddito di cittadinanza", osserva Berardi diviso tra sentimenti di "rassegnazione e schifo". "Purtroppo è la fotografia del nostro Paese che, secondo me è in piena decadenza - continua il presidente di Asevit - Le persone normali sono diventate l'emarginazione, mentre l'emancipazione è diventata opinion maker, ciò succede tutti i giorni". I terroristi, sottolinea Berardi, si devono solo "augurare che Dio non esista, altrimenti la pagheranno".

"E' del tutto evidente che sarebbe opportuno che queste cose non si ripetessero e sarebbe meglio che queste persone, invece di cercare di tornare alla ribalta ad ogni costo, cercassero di farsi dimenticare" afferma all'Adnkronos il presidente dell’Associazione italiana vittime del terrorismo e dell’eversione (Aiviter) Roberto Della Rocca. "Noi non siamo assolutamente d'accordo sull'opportunità che avvengano presentazioni ed iniziative nelle scuole, in istituti pubblici o collegati alle istituzioni", sottolinea Della Rocca secondo il quale è "da Ponzio Pilato" la posizione del Comitato Arci Torino che, pur condannando le prese di posizione di Galmozzi, ha affermato di non essere a conoscenza dell'iniziativa di stasera che si terrà in un'associazione aderente, spiegando che ogni circolo ha autonomia nelle iniziative.

Cosa dobbiamo aspettare? Che gli esponenti chiamati ex terroristi passino a miglior vita e che le loro voci e ‘testimonianze’ cadano nell’oblio, per non parlar e sentir parlare ancora di odio verso chi è diverso nel pensiero, nella pelle, nella religione e politica?” chiede Alberto Torregiani, figlio di Pierluigi, ucciso da un commando dei Pac davanti alla gioielleria di famiglia a Milano, ricordando la sofferenza dei parenti delle vittime del terrorismo e quanto “dolore migliaia di famiglie hanno e ancora portano dentro le carni”. “La bilancia pende sempre a favore di Caino perché colui che ha colpito, che ha ucciso, in qualche modo deve essere capito, compreso e consolato - sottolinea all'Adnkronos - le vittime invece, sono la parte collaterale di ideali beceri e allucinanti, sono il mezzo, la spina nel fianco”. “Ed è cosi che a chi porta addosso il dolore si chiede di ‘accettare’ in silenzio mentre a loro viene sempre permesso di giustificare con ogni mezzo di comunicazione”, afferma ancora Torregiani. “Il fastidio non sta nell’esprimere il proprio pensiero, la nostra democrazia e Costituzione lo permette, ma nel cercare a tutti i costi di imporre il solo e unico pensiero - osserva Torregiani - Galmozzi è l’ultimo fra i tanti che ancora scrivono e giustificano delle loro azioni e ancora minacciano questa ‘imperfetta democrazia’. Non vi sarà fine fin quando verrà permesso. Non siamo noi vittime a dirlo, ma loro, oggi come ieri, con le azioni a dichiararsi per quello che erano e ancora sono: terroristi - conclude - Mi aspetto un grande passo di civiltà da queste nuove generazioni, la capacità di bandire e mettere nell’esilio del silenzio coloro che ancora inneggiano alla violenza armata”.

Per Potito Perruggini, nipote del brigadiere Giuseppe Ciotta, freddato nel marzo 1977 da Prima Linea, "dobbiamo riprendere le redini su come storicamente vanno interpretate alcune vicende, non possono essere certamente i carnefici a riscrivere la storia degli anni di piombo del Paese attraverso una ricostruzione autoreferenziale, quasi giustificazionista, assente di qualsiasi forma di pentimento e di rispetto verso le vittime". "E’ fondamentale - aggiunge Perruggini - che prima che scompaiano tutti i protagonisti degli anni di piombo, e per questo faccio appello anche alle forze dell’ordine e a chiunque in quegli anni abbia rivestito ruoli istituzionali e oggi sia ancora in vita, ci sia un risveglio dell’orgoglio nazionale per consegnare alle future generazioni delle verità storiche condivise che superino i compromessi dell’epoca e, al di là dei meri esecutori, ci consentano di identificare i veri mandanti", conclude il nipote del brigadiere Ciotta.

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