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"Morte al-Baghdadi non distrugge gruppo"

Davide Grasso, uno dei giovani italiani che in questi anni hanno combattuto in Siria nelle Ypg, all'Adnkronos: "La sua uccisione un fatto di giustizia, nulla cambia, problema restano prigionieri". L'Isis dopo al-Baghdadi, eredi ed eredità del Califfo

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28 ottobre 2019 | 18.54
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"Con l’uccisione di Al-Baghdadi nella lotta contro lo Stato islamico non cambia nulla, il vero problema restano quelle decine di migliaia di prigionieri dell’Isis che sono detenuti in Siria senza alcun supporto internazionale, anzi con la Turchia che di fatto cerca di farli scappare". Così interpellato dall’Adnkronos, Davide Grasso, uno dei giovani italiani che in questi anni hanno combattuto in Siria nelle Ypg.

"Al-Baghdadi - prosegue Grasso - aveva un ruolo simbolico e la leadership era condivisa tra diverse figure alcune delle quali uccise, altre ancora vive e altre sostituite. Non è dunque l’uccisione di questo personaggio a distruggere l’organizzazione e neppure a diminuirne il morale. E un’organizzazione che si basa su una visione fortemente religiosa e quindi morto un califfo se ne fa un altro, anche se non è dato sapere se avesse già lasciato indicazioni.

"E’ chiaro che nonostante ogni spargimento di sangue sia un fatto drammatico, è un fatto di giustizia aver colpito Al Baghdadi tanto che le Ypg hanno detto che il loro contributo all’obiettivo lo dedicano a tutte le vittime dell’Isis, in primis alle donne yazide massacrate proprio per ordine di Al Baghdadi in Iraq nel 2014. Ma detto questo - conclude Grasso - non bisogna confondere la dipartita di un singolo individuo con un fenomeno globale che ha radici culturali, sociali e di massa e che quindi è molto più complesso".

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