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Sostenibilità: dal Nimby al Nimto, quando è la politica a dire no a nuovi impianti

Un atteggiamento 'di comodo' che si sceglie per non perdere consenso elettorale. Si tratta di due facce della stessa moneta, correlate l'una all'altra: “a volte il Nimto è la causa stessa del Nimby”, spiega Alessandro Beulcke, presidente Nimby Forum

(Infophoto)
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15 marzo 2015 | 18.10
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Non solo contestazioni sociali. A bloccare la realizzazione di opere infrastrutturali a volte è la stessa politica locale che in situazioni spinose, per non perdere consenso elettorale, preferisce non legiferare. Un atteggiamento 'di comodo' che si sceglie per non correre rischi. E così dalla sindrome Nimby (Not In My Back Yard, ossia non nel mio giardino) si passa alla sindrome Nimto ('not in my terms of office' cioè 'non durante il mio mandato elettorale').

Si tratta di due facce della stessa moneta, correlate l'una all'altra: “a volte il Nimto è la causa stessa del Nimby”, spiega all'Adnkronos, Alessandro Beulcke, presidente Nimby Forum. Molto spesso, racconta Beulcke, “la amministrazioni locali invece di accogliere le nuove proposte per studiarle e valutarne la validità, si oppongono a priori”. Si cerca così di consolidare il proprio consenso sociale facendo leva su antiche paure, non sempre fondate.

Il Nimto, quindi, secondo Beulcke prende vita “dall'atteggiamento irresponsabile di una classe politica” che non ha colore. Ogni volta “che un'impresa sottopone un progetto ad un'assemblea cittadina, c'è sempre il classico amministratore comunale o sindaco che dice 'noi abbiamo già dato' o che tira in ballo 'vocazione turistica del territorio'”. Ed ecco che iniziano le polemiche. Innanzitutto, “bisognerebbe spiegare che prima di iniziare a costruire servono le autorizzazioni”.

Per il presidente del Nimby Forum, dunque, “una politica seria dovrebbe rassicurare la cittadinanza su tutte le verifiche che dovranno essere fatte sul progetto”. Un esempio di Nimto è il gasdotto Tap: “ una normalissima condotta sotterranea del gas di 8 km che dovrebbe approdare in provincia di Lecce. Un esempio di questo questo genere c'è già ad Ibiza”. In Puglia, ricorda Beulcke, “ci sono diverse condotte sotterranee. Quindi, non c'è una logica nel fare una battaglia intorno a 8 km”.

Un altro esempio lo abbiamo avuto in Sicilia, dove “la Shell avrebbe investito 800 mln di euro per realizzare in collaborazione con Erg, un rigassificatore”. Il progetto, ricorda Beulcke andò avanti “con l'Aia positiva ma il presidente della regione di allora Raffaele Lombardo per ragioni illogiche decise di non firmare un atto già avviato dal governo centrale”.

E così la Shell, “dopo aver speso 30mln di euro solo per le procedure autorizzative ha scelto di mollare e di spostare il progetto in Turchia”. Questo “non è un sistema applicabile” anche perché “stiamo parlando di investimenti industriali che portano lavoro”.

Sul caso Tav, invece “il presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, ha sempre avuto un atteggiamento laico, senza mai sposare la protesta”. Anche il ministro Lorenzin sul caso stamina, ricorda Beulcke, “si comportò bene e anche lì ci fu un problema di disinformazione”. Ma ultimamente, rileva Beulcke, “si contesta meno perché si investe meno e questa non è una buona notizia”.

Il fenomeno Nimby nel 2013 ha portato alla contestazione di 336 impianti, con un calo del 5% rispetto al 2012 (erano 354 gli impianti). Con 213 opere contestate (63,4% del totale), il comparto elettrico è in testa della classifica dei settori maggiormente colpiti dalla sindrome Nimby. Nel 2004, il dato si attestava solo sull’11,6%.

Trend inverso per il settore dei rifiuti, che esprime il 25,3% degli impianti contestati (nel 2004 era al 78,8%). Da ultimo, il comparto delle infrastrutture evidenzia 32 opere contestate, raddoppiando la propria incidenza dal 4,8% del 2011 al 9,5% del 2013.

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