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Migranti, Mediterranean Hope: "Naufragi e dispersi, così rimpallo responsabilità uccide"

Il programma della Fcei chiede "vie di accesso legali e sicure in Europa". "Nei giorni scorsi a Lampedusa un barchino è finito contro scogli, solo per miracolo non c'è stata una tragedia"

Foto di repertorio
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08 aprile 2025 | 18.36
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Il maltempo ha concesso una tregua. Dopo la raffica di sbarchi che in appena 48 ore ha portato a Lampedusa oltre 1.400 persone (600 sabato e 830 domenica), da ieri sulla più grande delle Pelagie non si registrano approdi. Continuano, invece, i trasferimenti verso la terraferma. A ritmo serrato. "Vengono portati via quasi subito - dice all'Adnkronos Francesca Saccomandi, operatrice di Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia da anni attivo a Lampedusa -. Sicuramente c'è una grande efficienza della macchina logistica, ma l'efficienza non per forza si traduce nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone, che continuano a essere considerate 'pacchi da spostare'. Ci preoccupa molto la tempistica dei trasferimenti". Trattenere i migranti per giorni nell'hotspot sarebbe "assurdo", ragiona Francesca, ma è "quantomeno discutibile" pensare che, "dopo aver passato giorni in mare, i naufraghi possano trascorrere appena 12 ore in hotspot. Ore nelle quali vengono sottoposti a delicate e complesse procedure di identificazione per poi affrontare, subito dopo, altre 8-9 ore a bordo di un traghetto che li condurrà in Sicilia. Abbiamo il sospetto, che è quasi certezza, che in tanti non sanno neanche dove vengono portati e che ne sarà di loro dopo".

Negli ultimi mesi gli arrivi dalla Tunisia si sono quasi azzerati. "Praticamente inesistenti. Invece di salpare dalle coste tunisine, raggiungono la Libia e da lì i trafficanti organizzano le partenze. Ma le traversate, pericolosissime su barchini inadeguati, non si sono mai fermate". Ad approdare al molo Favaloro, prima frontiera d'Europa per molti disperati, ultimamente non sono solo uomini. "Ci sono tantissime donne e bambini e molti minori soli", racconta Francesca, spiegando che ad accomunare i loro racconti è "l'orrore vissuto in Libia". Come quello di un 28enne del Bangladesh. "Nel suo Paese ha lasciato un bimbo di pochi mesi e, arrivato in Libia, è rimasto sei mesi prima di riuscire a partire. 'Sono stati un inferno', mi ha detto". E' uno dei 71 migranti, originari di Bangladesh ed Egitto, partiti dalla Libia e giunti domenica scorsa a Lampedusa. Uno sbarco autonomo con il barchino che, forse per una manovra azzardata, è finito contro gli scogli a Cala Galera. "In 15 sono rimasti feriti. Anche lui lo era e quando siamo arrivati perdeva molto sangue, si era fasciato le ferite con lembi di vestiti. Abbiamo poi saputo che è stato trasferito in elisoccorso in Sicilia".

"Solo per miracolo non c'è stata l'ennesima tragedia - dice ancora Francesca Saccomandi -. Quando siamo arrivati, mentre in contemporanea al molo Favaloro proseguivano gli sbarchi, abbiamo trovato le persone seguendo una scia di sangue. Sulla scogliera c'era un pezzo di legno della barca. I primi mesi del 2025 sono stati tragici tra naufragi, persone morte per l'inalazione da idrocarburi o per ustioni, dispersi. L'unico obiettivo dovrebbe essere lavorare a vie di accesso in Europa sicure e legali, invece questa richiesta, sempre più urgente e pressante, continua a essere inascoltata. A proseguire, al contrario, sono i rimpalli di responsabilità che fanno sì che le imbarcazioni continuino a naufragare e le persone a morire nel Mediterraneo".

Per Francesca "il fatto che questo dramma non sia 'mediaticamente' rilevante e che ci sia una sorta di assuefazione alle tragedie non è accettabile. Il fenomeno migratorio continua a essere gestito in modo inadeguato, a prezzo di vite umane di donne, uomini e bambini che non hanno altra scelta. E' un prezzo che noi non vogliamo pagare più. Un rapporto presentato al Parlamento europeo nei mesi scorsi parla chiaramente della tratta di essere umani in Libia come di un 'traffico di Stato'. Non so cosa altro serva per dimostrare che quello non è un Paese sicuro, non è un Paese con cui fare accordi". (di Rossana Lo Castro)

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