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Chirurgia estetica, Santanchè contro "il business delle scorciatoie a rischio flop"

"C'è chi propone interventi alternativi a quelli più indicati. Così si innesca un circolo vizioso che porta molti pazienti a pretenderli e alcuni ad accontentarli per reggere alla concorrenza", denuncia lo specialista. Effetto Covid sulla richiesta? "La domanda si è scatenata dopo i lockdown"

(Fotogramma)
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10 dicembre 2022 | 19.26
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C'è un fenomeno che fa leva sulla voglia di ritocco degli italiani e che rischia di 'inquinare' una disciplina come la chirurgia estetica che, "come tutte le altre branche della medicina, prevede indicazioni piuttosto precise per far fronte a un determinato problema". Paolo Santanchè, specialista in chirurgia plastica, lo descrive all'Adnkronos Salute come "una sorta di disonestà intellettuale" per cui "c'è chi si inventa scorciatoie dettate dal business", portando molti pazienti a pretenderle anche da "chi non le proporrebbe mai", ma che "alla fine per reggere la competizione del mercato viene indotto a offrirle comunque". E il risultato è spesso un flop, perché "se ad esempio si vuole a tutti i costi un filler laddove invece servirebbe un lifting - avverte l'esperto - pretendendo il filler si finisce per uscire dall'ambulatorio con una faccia 'a zampogna'".

"La chirurgia estetica, come ogni altra disciplina medica - spiega Santanchè - prevede determinati trattamenti con determinate indicazioni. Non è che ogni problema abbia più di tante alternative terapeutiche; tranne che in casi particolari un po' borderline, in generale ogni situazione da correggere ha una sua indicazione abbastanza precisa. Invece quello che capita è che la chirurgia estetica è stata un po' trasformata", imboccando una traiettoria deviata "inizialmente dal marasma di personaggi 'fai da te' che hanno trovato nel ritocco di bellezza lo sfogo della voglia di fare business, costringendo alla fine anche i professionisti che si sarebbero comportati diversamente a barcamenarsi per far fronte alla concorrenza, a non dire sempre no per non uscire dal mercato. Accade cioè che arriva il paziente, chiede una cosa e il chirurgo tendenzialmente cerca di accontentarlo, anche se la prestazione richiesta non è affatto quella più indicata per risolvere il problema sottoposto".

L'allarme lanciato dallo specialista riguarda in altre parole le tecniche pretese non perché servono, ma perché vanno di moda. Magari ci sarebbe bisogno d'altro, però 'io voglio quello'. "Anche tutto questo boom di pazienti che chiedono qualcosa perché condizionati dall'influencer di turno, o perché magari lo vedono su TikTok - argomenta Santanchè - io non lo vedo. E davvero a volte mi chiedo se a me non capita perché chi viene nel mio studio arriva da un altro pianeta, o piuttosto perché questi trend in realtà non esistono, ma ne viene data notizia proprio per crearli, per alimentare una domanda alla quale si vuole rispondere per business. Come quando si gridava allo scandalo del seno rifatto a ragazze minorenni, per le quali poi le protesi mammarie sono state vietate: in quarant'anni di carriera io avrò avuto tre o quattro richieste da under 18, non di più, eppure sembrava non venisse chiesto altro".

"Adesso succede dunque - racconta l'esperto - che il paziente molto spesso non ti chiede la soluzione migliore di un problema, ma ti domanda direttamente una cosa: voglio fare il filler, voglio fare questo e quello, io la chirurgia non la voglio fare. Ma vediamo prima di cosa stiamo parlando, dico io. L'iter dovrebbe essere che tu paziente mi dici che hai un problema e che vorresti ottenere quel risultato, io ti consiglio come potresti riuscirci e tu mi dici se ti va bene o no. Se io ti dico guarda, nella tua situazione dovresti fare il lifting, e tu mi dici che la chirurgia non la vuoi fare e vuoi le punturine, io dico no. Perché se il problema si sarebbe potuto risolvere con le punture, non ti avrei proposto il lifting".

"Invece c'è appunto chi si inventa tutte queste scorciatoie", ammonisce Santanchè: "Non vuoi fare il lifting? C'è la radiofrequenza. Oppure: il lifting oggi è out, ora si mettono i fili. Ma un professionista che tecnicamente sa come fare un lifting capisce bene che i fili sono una cosa diversa, che mentre il buon lifting risolve il problema agendo sulla causa, il filo prova solo a 'rattopparlo'. E tornando al filler, se invece di usarlo per riempire una zona che si è svuotata lo utilizzo dove invece dovrei usare la chirurgia, finisce che quel volto lo rovino. Per non parlare di quando, relativamente a fatti di cronaca, si leggono titoli del tipo 'si era fatta iniettare del silicone da una falsa estetista'. Ma che c'entra? Il punto non è che non era una vera estetista, il problema è che non era un medico", incalza il chirurgo.

"Bisognerebbe lavorare per diffondere una consapevolezza diversa - auspica lo specialista - Servirebbe che il paziente si rendesse conto che non può decidere lui qual è il trattamento più indicato per il suo problema. E che anche andare a caccia del prezzo basso è pericoloso: è chiaro che se tu hai deciso di comprare un certo modello di automobile cerchi quella che costa meno perché intanto è sempre la stessa macchina, ma dietro lo stesso intervento di chirurgia estetica c'è un mondo di prestazioni completamente diverse per qualità e per livello. Le persone vanno informate correttamente e con trasparenza, non condizionate per convenienza. Questa dovrebbe essere la medicina".

Effetto Covid sul ritocco di bellezza - "Francamente - confessa Santanchè - immaginavo che dopo il Covid sarebbe stato un disastro, che negli ambulatori di chirurgia estetica si sarebbe creato il vuoto. Invece mi sbagliavo: finito il periodo dei lockdown, chi pensava di ricorrere a un intervento per correggere un inestetismo si è letteralmente scatenato, portando la domanda a livelli superiori a prima".

Ma chi erano questi "scatenati" del ritocco di bellezza post-chiusure? "Dal giorno dopo - riferisce l'esperto - sono partiti subito i filler più urgenti e in generale tutti gli interventi diciamo 'di manutenzione', perché ovviamente erano mesi che non si potevano fare. E poi si è approfittato della possibilità di smart working perché così si poteva tranquillamente trascorrere la convalescenza a casa lavorando, con discrezione senza che nessuno si accorgesse di nulla. Chi lo desiderava poteva benissimo sottoporsi alla procedura senza assentarsi dal lavoro magari per 10-12 giorni finché scomparissero eventuali segni dell'intervento. Dopo questo boom registrato nel post-lockdown e ancora sotto smart working", l'impressione del chirurgo è che sia "tornato tutto come in termi pre-Covid, senza problemi né attese".

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