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Tony Renis: "Straziato da morte Quincy Jones, era un fratello"

"Ci incontrammo in Olanda nel 1963, poi produsse per me il brano su Pinocchio... Mi chiamava 'fico'..."

Tony Renis e Quincy Jones nel 1963 (foto dall'archivio di Tony Renis)
Tony Renis e Quincy Jones nel 1963 (foto dall'archivio di Tony Renis)
04 novembre 2024 | 14.32
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"La morte di Quincy Jones mi strazia il cuore. Per me era un fratello, mi diceva sempre: 'we are brothers from different mothers', 'siamo fratelli di madri diverse'. E mi chiamava 'fico', perché quando ci conoscemmo io lo definivo sempre così, lui mi chiese il significato della parola fico e da allora mi soprannominò così". A parlare così del grande musicista e produttore statunitense scomparso domenica a Los Angeles è Tony Renis, uno dei pochi artisti italiani con cui la leggenda della musica afroamericana avesse collaborato. "Siamo stati amici per oltre 40 anni", dice Renis all'Adnkronos.

"Ci conoscemmo nel 1963 in Olanda, al Grand Gala du Disque, dove lui rappresentava gli Usa e io l'Italia, visto che avevo appena vinto Sanremo con 'Uno per tutte'. Cantai alla presenza della regina anche 'Quando quando quando'. Facemmo amicizia, gli piacquero le mie canzoni e mi disse: 'Perché non mi vieni a trovare a Los Angeles?' Non me lo feci ripetere due volte e volai in California dove lui mi ospitò per mesi", racconta Renis.

L'anno successivo, nel 1964, fu Quincy Jones a raggiungere Renis in Italia, per produrre un suo 45 giri: "Venne apposta dagli Stati Uniti per produrmi due canzoni per bambini, 'Cara fatina/Lettera a Pinocchio' di cui curò arrangiamenti, direzione d'orchestra e produzione. Quando si sparse la voce della sua presenza, tutto il jazz italiano si radunò intorno allo studio per conoscerlo. E rimasero stupiti che fosse lì per incidere due brani per bambini. Ma lui era così, un uomo di enorme generosità", sottolinea Renis.

"Tra le mie canzoni, quella che amava di più era 'Piccolo Indiano', una canzone del 1961 che avevo scritto con Mogol (lui il testo e io la musica) per lo Zecchino D'Oro, perché conteneva una frase musicale blues che adorava e che mi canticchiava spesso", aggiunge.

Anche con la casa di Bel Air dove Quincy Jones si è spento Renis aveva un legame particolare: "Quando producevo Julio Iglesias e andammo a Los Angeles per conquistare il mercato americano, affittai una casa bellissima a Bel Air, il cui indirizzo diede poi il nome all'album del 1984 '1100 Bel Air Place'. Bene, quella casa fu poi acquistata da Quincy Jones che ne fece la sua lussuosa residenza", racconta Renis.

Le ultime occasioni di incontro tra i due furono invece entrambe italiane: "Nel 2018 ricevette l'Umbria jazz Award e volle che glielo consegnassi io. Lo stesso anno con Pascal Vicedomini gli conferimmo il Legend Award dell'Ischia Global Film and Music Festival. Passammo qualche giorno insieme divertendoci molto. Non c'è nessuno come lui. Quincy irripetibile. È un genio del secolo. È stato il più grande, la sua influenza sulla musica moderna è incalcolabile. Ma non era solo una leggenda vivente, era una splendida persona: generoso, simpatico. Lo amo e continuerò ad amarlo tanto", conclude Renis.

(di Antonella Nesi)

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