Tra le presenze istituzionali attese, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, e il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano
Il 7 dicembre sarà la nona volta che Don Carlo, capolavoro di Giuseppe Verdi, aprirà la Stagione del Teatro alla Scala, e si oltrepasseranno le duecento rappresentazioni scaligere dalla prima assoluta milanese del 1868. Si assisterà al Don Carlo che il grande compositore, a 17 anni dal battesimo parigino, l'11 marzo 1867, rielaborò apposta per Milano prosciugando e tagliando, versione poi messa in scena nel 1884.
L'opera - che ha inaugurato la Stagione Lirica nel 1868, 1878, 1912, 1926, 1968, 1977, 1992 e 2008 - sarà diretta dal direttore musicale Riccardo Chailly sul podio dell'Orchestra del Teatro alla Scala con un cast che schiera Francesco Meli come Don Carlo, Anna Netrebko come Elisabetta di Valois, Michele Pertusi come Filippo II, Elīna Garanča come Principessa d'Eboli, Luca Salsi come Marchese di Posa e Ain Anger come Grande Inquisitore. Protagonista di non minore rilievo il Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi. Le scene sono di Daniel Bianco, i costumi di Franca Squarciapino, le luci di Pascal Mérat, i video di Franc Aleu e la coreografia di Nuria Castejón.
Come di consueto la Prima sarà non solo uno spettacolo ma anche un evento mondano, con sfilata di vip e personalità. A differenza degli anni scorsi non sarà presente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra le presenze istituzionali attese, la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, e il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.
Per il maestro Riccardo Chailly, Don Carlo è il compimento di una riflessione sul potere estesa su tre inaugurazioni di Stagione, dopo Macbeth di Verdi nel 2021 e Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij nel 2022. Chailly proporrà un'edizione filologica del dramma sulla base di una rilettura dei manoscritti verdiani. Si ascolterà così l'introduzione al monologo di Filippo affidato alla fila dei violoncelli secondo partitura e non al violoncello solo come spesso avviene.
Don Carlo torna al Teatro alla Scala in una grande produzione che rispecchia la doppia natura di dramma storico e manifesto romantico dell'originale tragedia scritta da Friedrich Schiller, mettendo in luce gli straordinari artisti e artigiani che operano nei laboratori del Teatro. Un impianto scenico unico si trasforma senza interrompere lo svolgimento dell’azione nei diversi spazi previsti dal libretto grazie alla spettacolare alternanza di colossali elementi scenografici.
Verdi propone i temi a lui cari della libertà dei sentimenti, della difficile relazione tra padri e figli e della liberazione dei popoli oppressi sullo sfondo del conflitto tra il potere temporale e quello religioso.
Per rendere l'atmosfera sospesa tra ambiente ecclesiastico e secolare il regista Lluís Pasqual e lo scenografo Daniel Bianco hanno fatto riferimento all'uso dell’alabastro nelle finestre degli edifici religiosi ma anche civili e in particolare alla grande finestra della Collegiata di Santa María La Mayor nella città spagnola di Toro. Una grande torre di alabastro è inquadrata in un sistema di cancellate che anch'esse ricorrono nell'architettura religiosa quanto in quella civile. La scena permette di ritagliare nei grandi spazi del palcoscenico i numerosi momenti di intimità e di isolamento che punteggiano la tragedia.
Don Carlo, come ha spiegato il maestro Riccardo Chailly, porta dietro le quinte dello spettacolo del potere: anche l'autodafé, cerimonia abbagliante e macabra di autorappresentazione dell'assolutismo, non troppo diversa dai meccanismi della propaganda di oggi, è mostrata soprattutto nel momento della preparazione e solo pochi minuti sono riservati alla 'festa' nella sua magniloquente esteriorità. Qui campeggia un colossale retablo dorato e finemente istoriato. Questi spazi sono animati dal pittoricismo dei costumi di Franca Squarciapino, che riprendono l'abbigliamento rappresentato nella ritrattistica del tempo ma lo alleggeriscono nella scelta dei materiali, garantendo facilità di movimento e una certa romantica vitalità ai personaggi.
L'impianto è documentato ma non necessariamente filologico, ha sottolineato il regista Lluís Pasqual: pur collocati nella loro epoca, i protagonisti rappresentano emozioni e caratteristiche umane presenti in ogni tempo. Il colore prevalente è il nero, non inteso come espressione di mortificazione o di lutto ma come esibizione di potere e ricchezza: nel '500 velluti e broccati neri erano tra le stoffe di maggior pregio.