Malformazioni ossee, traumi, metastasi e fratture non sono una novità: affliggevano l'uomo anche nella Roma dell'età imperiale. Lo rivela una ricerca tutta italiana, a cavallo tra storia della medicina e antropologia, i cui risultati sono descritti nel libro 'Bones - Orthopaedic Pathologies in Roman Imperial Age', firmato da Andrea Piccioli, ortopedico, oncologo e segretario della Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia), insieme a Valentina Gazzaniga e a Paola Catalano. Si tratta di uno studio senza precedenti nella letteratura scientifica per il numero di soggetti esaminati: oltre 2 mila scheletri di antichi romani, ma anche per l'omogeneità dell'estrazione geografica, del periodo storico e quindi delle abitudini di vita.
Per rivelare tutti i segreti delle antiche ossa delle necropoli romane, la ricerca si è basata sull'esame antropologico e sul rilievo fotografico, ma anche su approfondimenti diagnostici eseguiti con le più moderne tecniche di imaging, ad esempio la Tomografia computerizzata multistrato (Tac). Cosa che ha permesso di valutare lesioni impossibili da evidenziare con il solo esame clinico-morfologico. Al centro delle indagini, persone che lavoravano nelle saline e nelle tintorie, quindi gente appartenente al ceto povero. L'analisi, condotta da antropologi, archeologi e ortopedici 'investigatori', un po' sulla scorta di quello che si vede nella serie tv 'Bones' , rivela che le malattie comuni erano quelle di oggi, ma colpivano anche da giovani. Inoltre le fratture venivano curate con 2 mesi circa di immobilizzazione. Sono stati esaminati corpi di donne sovraccaricate dal lavoro, "quasi martoriati dalle fatiche", spiega Piccioli. "Segni evidenti sull'osso dimostrano l'eccessiva usura".
E ancora. Le ossa esaminate mostrano che traumi e fratture erano comunissimi soprattutto sulle ossa nasali, forse per la mancanza di protezione nei posti di lavoro. Non mancano casi di rottura della clavicola e delle ossa delle mani. L'artrosi vertebrale e i tumori erano comunissimi, ma anche la gotta era diffusa. La spalla era l'articolazione più a rischio, per gli eccessivi pesi trasportati. L'età media degli scheletri, inoltre, non supera i 45-50 anni.
Dall'esame emergono altre interessanti informazioni: lo strumentario chirurgico romano ancora oggi viene utilizzato dagli ortopedici. E c'erano medici, soprattutto militari, che avevano una competenza importante. Il tasso di guarigione era abbastanza buono: nonostante i traumi queste persone continuavano a vivere e a lavorare.
Il progetto è stato proposto e finanziato dalla Siot in collaborazione con il Servizio di Antropologia della Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l'Area archeologica di Roma. Ha partecipato al Progetto il Servizio di Storia della medicina dell'Università Sapienza di Roma.
"Mi piace pensare - sottolinea Piccioli - che abbiamo scattato una fotografia di un'epoca lontana, che ci ha mostrato storie di uomini e malattie che ci hanno sorpreso e a volte emozionato. Erano donne e uomini abituati a vivere e lavorare convivendo spesso con patologie dolorose ed invalidanti. Oggi - conclude - è impossibile anche solo pensare di vivere con quelle sofferenze fisiche".