All'Esmo 2024: "Nei Paesi a basso e medio reddito si registra anche l'85% delle diagnosi perché non hanno né screening né vaccinazione"
Il cancro al collo dell'utero colpisce donne di ogni provenienza, ma ad oggi sono tante le disparità di approccio alla malattia in base all'etnia, al reddito, al Paese di residenza e all'accesso alle cure. "L'85% delle diagnosi e l'87% delle morti per questo tumore si registrano nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi a basso e medio reddito infatti non hanno né screening né vaccinazione, cioè non hanno la prevenzione primaria né la prevenzione secondaria contro questo cancro" che è il quarto tumore più frequente nelle donne in tutto il mondo, con circa 2.500 diagnosi annue in Italia (ma potrebbe scomparire grazie al vaccino contro il Papillomavirus) e "la quarta causa di morte per cancro nelle donne tra i 35 e i 54 anni".
A dirlo all'Adnkronos Salute Domenica Lorusso, professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia alla Humanitas University e direttore del Programma di Ginecologia oncologica Humanitas San Pio X di Milano, in occasione di Esmo 2024 che riunisce in questi giorni a Barcellona migliaia di oncologi da tutto il mondo. Lorusso è anche principal investigator dello studio Keynote-A18, secondo il quale oltre 8 donne su 10 con tumore al collo dell'utero localmente avanzato ad alto rischio sopravvivono a 3 anni dopo un trattamento immunoterapico con pembrolizumab, in combinazione con la chemioradioterapia concomitante. Il lavoro è stato presentato oggi al congresso della European Society for Medical Oncology.
"L'8% in più di sopravvivenza vuol dire guarire le pazienti - sottolinea - cioè qui non stiamo parlando di un rinvio della recidiva, che sarebbe comunque importante. In questo setting stiamo parlando di overall survival: vuol dire guarire una quota in più di pazienti, vuol dire che ogni 10 pazienti ne guariamo una in più", conclude.