Alla Camera il premier ottiene 321 sì, non nomina mai il leader di Italia Viva ma di fatto conferma la chiusura. Al Senato conta da brividi
E' una vigilia ad alta tensione quella che si consuma alla Camera, col premier Giuseppe Conte e il suo appello ai 'volenterosi', i numeri che ancora ballano e la maggioranza relativa che ormai è una certezza. Il presidente del Consiglio è a Montecitorio -dove incasserà 321 sì- ma la sua testa è nella sfida che lo attende domani al Senato, con Matteo Renzi sugli scranni e i 18 deputati di Iv che si asterranno, salvo sorprese da brivido.
La testa, appunto, è a Palazzo Madama, tanto che lasciando l'Aula di Montecitorio durante la pausa sanificazione Conte chiede al suo segretario particolare, Andrea Benvenuti, "a quanto stiamo?". La risposta, laconica, è sempre la stessa, perché la trattiva è in stallo e i numeri fermi: "155-156", replica il giovanissimo collaboratore del presidente, un occhio vigile sul pallottoliere del Senato. Nel suo intervento, circa 50 minuti tra applausi della maggioranza e proteste con tanto di cartelli dell'opposizione, Conte non nomina mai Renzi, ma di fatto conferma di averlo messo alla porta.
Porta chiusa a doppia mandata per il presidente, semmai qualcuno, tra gli alleati, nutrisse dubbi. “Non si può cancellare quel che è accaduto - dice, nascondendo a fatica la rabbia per le settimane di travaglio alle spalle - il venire a mancare di quella fiducia reciproca che è condizione imprescindibile per andare avanti. Si volta pagina”. Parla al Paese Conte, per una crisi che, per primo, giudica "incomprensibile". Dà il benservito ai renziani, rivolge il suo appello, quasi sfacciato, ai volenterosi, con l'ennesimo trucco semantico che li ha visti responsabili prima, costruttori poi, ora al servizio del Paese se ne avranno volontà.
La strada è strettissima, mentre c'è chi, in maggioranza, teme che il percorso che porterà a puntellare il governo si trasformi presto in "un Vietnam nelle commissioni parlamentari, rallentando di fatto il Paese". Al Pd Conte offre la promessa di un nuovo patto di legislatura che verrà scritto già nei prossimi giorni. Rafforzerà la squadra di governo, parole che sembrano mandare in soffitta l'ipotesi di un Conte ter, lasciando il posto ad un rimpasto, di certo meno doloroso.
Ma chi gli è vicino dice all'Adnkronos che un governo nuovo di zecca non è ancora da escludere. La partita si giocherà nei prossimi giorni, forse settimane, il tempo necessario per vedere se i volenterosi risponderanno all'appello. E, nel caso, valutare il peso delle loro richieste. Il futuro è ancora da scrivere, si intravedono altri giorni di incertezza all'orizzonte. Giornate dure anche per Matteo Renzi, che dovrà tenere insieme un partito, Iv, che sarà percorso da inevitabili divisioni per una decisione che al momento sembra fragile, di certo impopolare. E che, nelle file della maggioranza, sperano porti alla disfatta, producendo gli innesti più appetibili per il governo.
Un'esecutivo che strizza l'occhio anche ai centristi, ma non disdegna nemmeno Fi, che, stando ai rumors che girano nei palazzi romani, potrebbe perdere pezzi a favore di Conte. Il primo lo smarrisce già oggi, un tassello di peso: Renata Polverini vota la fiducia, allontanandosi dall'Aula spiega le sue motivazioni ai cronisti che le chiedono se lascerà gli azzurri.
"Lascio Forza Italia, per forza - scandisce l'ex governatrice del Lazio - Non ho votato sì a un provvedimento, ho votato sì alla fiducia al governo Conte. Come ho sempre fatto nella mia vita mi sono assunta una responsabilità. Non condivido la crisi ora, con la pandemia, le persone in difficoltà, i licenziamenti. Non possiamo continuare a dire che tutto non va bene, io mi assumo le mie responsabilità. Punto".
Al suo strappo potrebbero seguirne altri, il governo, Conte in primis, confida in una vera e propria slavina che potrebbe partire nei prossimi giorni, prima possibile -la speranza- per non aprire crepe nella maggioranza, facendo svenire le poche certezze che finora sembrano aver retto. Il disegno è chiaro anche nel discorso pronunciato da Conte in Aula, che guarda all'Europa e apre uno spiraglio sulla legge proporzionale, offerta allettante per gli azzurri. Tanto che c'è chi è pronto a scommettere in assenze strategiche dei forzisti domani a Palazzo Madama, salvifiche per abbassare il quorum e dare la possibilità al governo di dimostrare che i voti dei renziani non sono determinati per tenere in vita Conte e il suo governo.
Una partita a scacchi, dagli esiti che restano tutt'ora imprevedibili. Gli umori sulle montagne russe, tra sospiri di sollievo e ansia di andare a sbattere forte. Mentre l'opposizione alza la testa, Fdi e Lega chiedono a gran voce che il presidente del Consiglio lasci se domani non centrerà l'obiettivo della maggioranza assoluta. Conte si prepara alla sfida, presto, prestissimo, cederà la delega all'Intelligence ad uno dei suoi uomini di fiducia, "anche se non ha ancora deciso chi", assicurano dal suo staff. La prima prova di un cambio di passo che gli consenta di mantenere il timone del governo, in una crisi in cui è difficile non smarrire la rotta.