"Faceva il pazzo per avvisare la Democrazia Cristiana che era finito un mondo" dice il giornalista
“Una mente visionaria con un’idea di un cristianesimo laico e colto molto stimolante”. Il giornalista Giovanni Minoli tratteggia così la figura di Francesco Cossiga nel decennale della morte sottolineando che, con la scomparsa dell’ex presidente della Repubblica, l’Italia ha perso “il coraggio e l’originalità del suo pensiero che è stato sempre molto profondo”.
Si tratta di qualità che, per Minoli, “ora mancano completamente. Manca il coraggio – spiega all’Adnkronos il giornalista - di dire la verità, come lui ha fatto quando sembrava matto. In realtà, faceva il pazzo per avvisare la Democrazia Cristiana che era finito un mondo. Una fine alla quale bisognava prepararsi”. Con la conclusione dell’esperienza di Cossiga, per Minoli l’Italia ha perso anche “la complessità del suo rapporto con il terrorismo e con tutti i terroristi: Cossiga ha avuto una grande relazione con ognuno dei protagonisti delle Brigate Rosse”.
A questo proposito il giornalista ricorda di aver fatto “una puntata con al centro l’incontro tra Cossiga e Adriana Faranda per parlare di Moro. Fu una cosa molto emozionante”. Un fase tragica, quella del sequestro e dell’omicidio dello statista pugliese, segnata secondo Cossiga dalla “sudditanza al ruolo di Pieczenik, l’uomo mandato dal Dipartimento di Stato statunitense sostanzialmente per controllarlo nelle sue azioni rispetto alla gestione del caso Moro. Lo stesso Pieczenik ha poi raccontato in un'intervista che Moro doveva morire". Una decisione dettata, secondo Minoli, da diversi motivi: "Il compromesso storico – argomenta – non era gestibile, era troppo presto, non era ancora arrivato papa Wojtyła e il Muro di Berlino non era ancora caduto”.
In quell’operazione tentata da Moro, insomma, “c’era un’anticipazione della storia troppo forte. La gestione di quel periodo - dice Minoli - per Cossiga, che era comunque un seguace di Moro, fu certamente drammatica. Fu drammatico anche il rapporto con il Pci perché Cossiga, sardo sassarese, aveva con il partito comunista un legame abbastanza privilegiato”. In questo senso Minoli sostiene che per Cossiga era “primaria l’appartenenza al ‘clan dei sardi’, dei sassaresi, che annoverava tra gli altri il presidente della Repubblica Antonio Segni ed Enrico Berlinguer, tutti personaggi di primissimo ordine” . All’Italia di oggi, di Cossiga mancano anche “l'intelligenza e la capacità di gestire i rapporti con i servizi segreti occidentali. Non dimentichiamoci mai – evidenzia Minoli – che è riuscito a far diventare presidente del Consiglio Massimo D’Alema per fargli bombardare il Kosovo per conto degli americani. Fu Cossiga che orchestrò tutta la partita che non era facile da organizzare per gli statunitensi”.
Tornando infine alla formazione cattolica di Cossiga, e guardando al presente, Minoli sottolinea che si avverte la mancanza in Italia, e non solo, “di un’intelligenza cattolica come quella appunto di Cossiga, che sia in grado di esprimere soluzioni ai problemi nuovi che si stanno manifestando”.