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Con Covid più stress per 70% lavoratori, la maggioranza confida in aiuto di robot e intelligenza artificiale

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07 ottobre 2020 | 11.12
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Il 2020 è stato l'anno più stressante di sempre per i lavoratori di tutto il mondo e le persone desiderano essere aiutate anche con strumenti che usano l’intelligenza artificiale. E' ciò che emerge da un nuovo studio di Oracle e Workplace Intelligence, una società di consulenza e ricerca per le risorse umane. La ricerca condotta, che ha coinvolto oltre 12.000 persone (dipendenti, manager, leader delle risorse umane e alti dirigenti in 11 paesi del mondo, compresa l’Italia), ha rilevato che la pandemia Covid-19 ha aumentato lo stress, l'ansia e il rischio di burn-out sul posto di lavoro per le persone di tutto il mondo; emerge, inoltre, che chi si trova difficoltà preferirebbe rivolgersi a 'bot' potenziati dall’intelligenza artificiale, invece che ad altre persone.

La pandemia Covid-19 ha avuto, quindi, un impatto negativo sulla salute mentale della forza lavoro globale. Le persone in tutto il mondo stanno combattendo con gravi problemi quali ansia e depressione legati al lavoro a causa del Covid-19. In particolare, il 70% delle persone ha sentito più stress e ansia sul lavoro quest'anno rispetto a qualsiasi altro anno precedente. Ciò ha prodotto un impatto negativo sul benessere psicologico del 78% della forza lavoro globale, causando in particolare più stress (38%), mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata (35%), burn-out (25%), depressione da assenza di socializzazione (25%) e solitudine (14%).

Le nuove pressioni subite a causa della situazione globale si sono sovrapposte ai fattori di stress abituali legati al lavoro, tra cui la pressione per raggiungere i risultati (42%), la gestione di attività noiose e/o di routine (41%) e il fatto di dover affrontare carichi di lavoro sentiti come ingestibili (41%). Anche i lavoratori italiani hanno dichiarato livelli di stress e ansia molto superiori, anche se in misura minore rispetto al risultato globale della ricerca. Il 62% ha infatti dichiarato che questo è stato l’anno più stressante di sempre e il 65% dichiara di aver vissuto un impatto negativo sul proprio benessere psicologico.

La pandemia globale ha esacerbato i problemi di natura psicologica sul posto di lavoro. E l'impatto non si limita alla vita professionale: le persone ne risentono gli effetti anche nel privato. L'85% delle persone a livello mondiale - e il 78% degli italiani - afferma che i problemi di salute mentale e benessere psicofisico legati al lavoro (ad esempio stress, ansia e depressione) influenzano la vita privata. Le ripercussioni più comuni riportate a livello globale sono state: privazione del sonno (40%), cattiva salute fisica (35%), riduzione della serenità domestica (33%), sofferenza nei rapporti familiari (30%) e isolamento dagli amici (28%).

Inoltre, dato che i confini tra il mondo personale e quello professionale, lavorando da remoto, si sono diluiti, il 35% delle persone ha dichiarato di aver lavorato oltre 40 ore in più ogni mese e il 25% delle persone nel mondo dichiara di aver sperimentato un burn-out per il super lavoro. Nonostante alcuni svantaggi percepiti nel lavoro a distanza, però, il 62% delle persone trova il lavoro da remoto più interessante ora, rispetto a prima della pandemia, affermando di aver avuto più tempo da trascorrere con la famiglia (51%), per riposare (31%) e per portare a termine i propri compiti (30%).

Questo giudizio tutto sommato positivo accomuna anche i lavoratori italiani, che nel 59% dei casi hanno dichiarato di trovare ora più interessante l’opzione del lavoro da remoto.

I lavoratori, dunque, vogliono aiuto e si rivolgerebbero alla tecnologia piuttosto che alle persone. Quindi, le persone vogliono di più dalla tecnologia, oggi: non desiderano solo strumenti di collaborazione efficaci per lavorare, ma anche strumenti di sostegno al loro benessere mentale. Solo il 18% degli interpellati ha dichiarato che preferirebbe aprire un discorso sulla propria salute mentale con una persona invece che con un 'robot' (un bot basato su Intelligenza Artificiale, ad esempio). Questo perché le persone ritengono che un’intelligenza artificiale possa creare una 'free zone', una 'zona priva di giudizio' (34%), che possa essere un interlocutore imparziale (30%) e che possa fornire risposte rapide su domande specifiche relative alla propria salute mentale (29%).

Il 68% delle persone interpellate a livello globale - e il 57% degli italiani, in particolare - preferirebbe parlare con un robot piuttosto che con il proprio manager dello stress e dell'ansia sul lavoro e l'80% delle persone (71% per l’Italia) è aperta all’idea di utilizzarlo come consulente o terapeuta. Il 75% afferma che l’Intelligenza Artificiale ha già dato un contributo positivo al benessere psicologico, in quanto strumento di lavoro. I principali vantaggi rilevati sono stati l’aver avuto disponibilità delle informazioni necessarie per svolgere il proprio lavoro in modo più efficiente (31%), l'automazione delle attività e la riduzione del carico di lavoro, prevenendo il burnout (27%); la riduzione dello stress grazie al supporto nel dare le giuste priorità alle varie attività da portare avanti (27%).

L'intelligenza artificiale, in questo senso, ha anche aiutato la maggioranza dei lavoratori ad 'abbreviare la settimana lavorativa', nel 51% dei casi ritengono che abbia consentito loro di prendersi più tempo di riposo. Oltre la metà degli intervistati afferma che la tecnologia AI aumenta la produttività dei dipendenti (63%), migliora la soddisfazione sul lavoro (54%) e migliora il benessere generale (52%).

E i problemi di benessere psicologico sul lavoro non scompaiono e non possono essere ignorati. I lavoratori di tutto il mondo vorrebbero che le loro aziende offrissero più supporto per la salute mentale; se questo aiuto non sarà dato, ciò avrà un impatto profondo sulla produttività globale e sulla vita personale e professionale. Il 76% del campione globale, e il 66% degli italiani, ritiene che la propria azienda dovrebbe fare di più per proteggere il benessere mentale della propria forza lavoro. Il 51% a livello globale ha affermato che le proprie aziende hanno aggiunto servizi di salute mentale o di supporto a vario titolo, durante la pandemia Covid-19.

L'83% della forza lavoro globale vorrebbe che la propria azienda fornisse tecnologia per supportare il benessere psicofisico e la salute, come ad esempio servizi di accesso self-service alle risorse sanitarie (36%), servizi di consulenza su richiesta (35%), strumenti proattivi di monitoraggio della salute (35%), l'accesso ad app per il benessere o la meditazione (35%) e chatbot per rispondere velocemente a domande relative alla salute (28%).

Infine, lo studio ha rilevato altri problemi legati al lavoro da remoto. L’84% dei lavoratori nel mondo e il 76% in Italia ha dichiarato di aver affrontato delle difficoltà, quali la mancata distinzione tra vita personale e lavorativa (41%), problemi di salute mentale quali stress e ansia (33%). Stress e ansia che, per il 42% del campione, fanno precipitare la produttività personale; infine, il 40% ha affermato che ciò porta ad esempio a prendere decisioni meno efficaci e ponderate.

"Con la nuova situazione legata al lavoro a distanza, le demarcazioni tra vita personale e professionale si sono sfumate; in generale, il peso del Covid-19 sulla salute mentale è risultato significativo, ed è qualcosa che riguarda lavoratori di ogni settore e paese”, ha commentato Dan Schawbel, managing partner Workplace Intelligence. "La pandemia ha messo anche la salute mentale in primo piano: è il più grande problema della forza lavoro del nostro tempo - ha avvertito - e lo sarà per il prossimo decennio. I risultati del nostro studio mostrano quanto sia diventato diffuso questo problema e perché ora è il momento per le organizzazioni di iniziare a parlarne ed esplorare nuove soluzioni ".

“Con la pandemia globale, la salute mentale è diventata non solo una questione sociale più ampia, ma una delle principali sfide sul posto di lavoro. Ha un impatto profondo sulle prestazioni individuali, sull'efficacia del team e sulla produttività organizzativa. Ora più che mai, si tratta di un argomento importante in azienda, e i dipendenti chiedono ai datori di lavoro di farsi avanti e fornire soluzioni”, ha commentato Emily He, vicepresidente senior, Oracle Cloud Hcm.

“Si può fare molto per supportare la salute mentale della forza lavoro, e ci sono tanti modi in cui la tecnologia come l'AI può aiutare. Ma prima di tutto le organizzazioni devono mettere il benessere mentale delle persone tra le proprie priorità. Se riusciamo a far partire una riflessione aperta e costruttiva sull’argomento, sia a livello delle risorse umane che a livello dirigenziale, possiamo attivare un cambiamento. Ed è giunto il momento di farlo", ha concluso.

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