Le tasse e i contributi previdenziali si 'mangiano' lo stipendio dei lavoratori che costano all'azienda quasi il doppio. A tornare sul peso eccessivo del cuneo fiscale e contributivo dei lavoratori è una simulazione della Cgia di Mestre che ha esaminato la composizione delle buste paga di 2 lavoratori dipendenti entrambi occupati nel settore metalmeccanico dell’industria. Su una busta paga di 1.350 euro, infatti, il cuneo incide sul costo del lavoro per il 41,5% con un gap tra costo e retribuzione di 979 euro, mentre su un salario di 1700 euro schizza al 46,8% con una forbice tra costi e salario di 1.503 euro.
In particolare, dice ancora la Cgia, un operaio con uno stipendio mensile netto di poco superiore ai 1.350 euro al suo titolare costa un po' meno del doppio: 2.357 euro. Questo importo è dato dalla somma della retribuzione lorda (1.791 euro) e dal prelievo contributivo a carico dell'imprenditore (566 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l'azienda e la retribuzione netta) è pari a 979 euro che incide sul costo del lavoro per il 41,5 per cento.
Il secondo caso, invece, prosegue la simulazione, si riferisce a un impiegato con una busta paga netta di poco superiore a 1.700 euro. In questa ipotesi, il datore di lavoro deve farsi carico di un costo di oltre 3.200 euro; importo, quest'ultimo, quasi doppio rispetto allo stipendio erogato. Questa cifra è composta dalla retribuzione mensile lorda (2.483 euro) a cui si aggiungono i contributi mensili versati dal titolare dell'azienda (729 euro). Il cuneo fiscale (dato dalla differenza tra il costo per l'azienda e la retribuzione netta) è di 1.503 euro che incide sul costo del lavoro per il 46,8 per cento.
Negli ultimi anni, comunque, annota ancora la Cgia di Mestre, la situazione è un po' migliorata. E anche se quasi 1 milione di persone su 11,9 milioni che hanno beneficiato degli 80 euro nel 2015 è stato costretto a restituirli interamente, l'introduzione del bonus Renzi e il taglio dell'Irap avvenuto nel 2015 sul costo del lavoro ai dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato hanno garantito una riduzione del carico fiscale di circa 14 miliardi di euro.
Inoltre, prosegue l'analisi della Cgia di Mestre, sebbene la metà dei 9 miliardi di euro annui che servono per coprire la spesa del bonus Renzi sia finita nelle tasche di dipendenti che vivono in famiglie con redditi medio-alti, è altrettanto vero che secondo un'indagine realizzata dalla Banca d'Italia il 90% delle famiglie percettrici di questa agevolazione hanno dichiarato di averla spesa e di aver destinato il restante 10% per cento al risparmio e al rimborso di debiti. In altre parole, nonostante la metà dei destinatari non fosse costituita da lavoratori a basso reddito, buona parte di questo bonus "è stato speso per gli acquisti, a dimostrazione che se si rendono più pesanti le buste paga la gente torna a spendere e a far ripartire i consumi interni che, ricordiamo, sono la componente più importante del Pil nazionale", si legge ancora. ''Oltre a tagliare l'Irpef è necessario intervenire anche sulla riduzione del prelievo in capo al datore di lavoro che in Italia è tra i più elevati d'Europa", commenta il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo ricordando come secondo l'Ocse tra gli oltre 30 paesi più industrializzati del mondo solo Francia, Repubblica Ceca ed Estonia hanno un carico contributivo per dipendente superiore al nostro.
"Una situazione che ci impone non tanto di tagliare l'aliquota previdenziale che, in un sistema ormai contributivo, danneggerebbe i lavoratori, ma di proseguire con maggiore determinazione nella riduzione delle tasse sulle imprese'', conclude. Tra gli interventi anche "incentivare la diffusione del welfare aziendale come forma di beneficio economico'', come chiede il segretario Cgia Renato Mason.