Automatizzare il servizio dei cibi è un processo che l'industria fast food sta realizzando da anni, ma ora il robot in cucina diventa anche una leva marketing per attrarre più clienti e curiosi.
L’automazione nel mondo del fast food è un settore sicuramente in crescita, spinto nell’ultimo anno dalle esigenze di riduzione del contatto causa pandemia, ma anche dal fatto che mancano lavoratori. MCDonald’s, Dunkin Donuts, Subway, sono tra le catene che hanno ammesso di essere in difficoltà, soprattutto negli Stati Uniti, dove i recenti aiuti statali hanno reso meno appetibili lavori faticosi e sottopagati a cui finora molti si erano adattati pur di sopravvivere.
Intelligenze artificiali relativamente più economiche e completamente contactless iniziano a far gola sempre di più alle grandi catene. Una delle più famose è Flippy, che come dice il nome ha il compito di girare (flip) gli hamburger sulla griglia e preparare patatine e altri piatti che richiedono frittura. Tutti compiti piuttosto sporchevoli e a volte anche rischiosi a causa dell’olio bollente. Con una piattaforma analitica che aiuta a definire con precisione la cottura e un collegamento diretto al registratore di cassa in modo da tagliare i tempi tra ordine e preparazione, la creatura della californiana Miso Robotics è già utilizzata in catene come CaliBurger e White Castle. Flippy costa 30mila dollari, ma si può anche assumere al costo mensile di 1500 dollari, manutenzione inclusa, quasi fosse un impiegato in più.
Meno su larga scala ricordiamo i barman robotici progettati dalla torinese Makr Shakr, così come la stazione cocktail automatizzata Cecilia.ai, munita di schermo per interagire con il bar tender digitale che mixa bevande in 30 secondi ma sa anche spiegare gli articoli presenti sul menu. E poi c’è Sally, prodotto da Chowbotics, che prepara insalate mescolando fino a otto diversi ingredienti freschi e rende più semplice per fast food, piccole catene e mense sia aziendali che scolastiche aggiungere un contorno sano al proprio menu. Per gelati, frozen yogurt e caffè c’è ancora meno clamore: quello su cui si gioca la battaglia ultimamente non è tanto la capacità di avere macchine automatiche, quanto la possibilità di usare ingredienti di qualità bypassando i semilavorati industriali. Un po’ più controversa la questione se parliamo della pizza, un piatto in cui l’elemento umano, la mano del pizzaiolo, la sua abilità nello stendere la pasta e distribuire gli ingredienti sembrano un elemento imprescindibile.
A volte l'intelligenza artificiale è anche un'attrazione. A Parigi ha appena aperto una nuova pizzeria della catena Pazzi il cui staff è costituito interamente da robot, che seguono ogni fase della preparazione. Prendono gli ordini, processano i pagamenti, e poi provvedono alla cucina, dalla preparazione dell’impasto al condimento alla cottura, fino all’impiattamento e al servizio. Le ricette sono state affidate allo chef pizzaiolo Thierry Graffagnino, che ha fornito la sua consulenza in particolar modo per l’impasto che, spiega “è la parte più delicata, in continua evoluzione e non può essere congelato”. Il risultato promesso è un pizza di livello, con impasto di qualità e ingredienti scelti al ritmo di 80 pezzi all’ora. Abbastanza da far preoccupare la rivale Picnic Pizza System di Seattle, catena di assemblaggio pizze più in stile fast food, che ne sa sfornare 100 ogni ora, e che proprio in questi giorni ha annunciato di aver raccolto altri 4 milioni di dollari di finanziamenti dopo un primo round a maggio da 16 milioni.