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Carceri: lo sguardo dei bambini oltre le sbarre, apre la Casa di Leda

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29 gennaio 2017 | 15.25
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Bambini innocenti non più detenuti: andranno a vivere in un'abitazione civile composta di otto stanze con un giardino intorno dove poter scorrazzare insieme alle mamme, colpevoli di reati di non particolare gravità. Da Rebibbia alla Casa di Leda, nel quartiere Eur di Roma: saranno sei le mamme che potranno occupare con i figli, italiani e stranieri, l'edificio confiscato alla criminalità organizzata, oggi Casa famiglia protetta, così come prevede il decreto attuativo della legge 21 aprile 2011 n. 62. "Della Casa di Leda, intitolata a Leda Colombini, abbiamo già le chiavi. Sono state già individuate le ospiti che andranno ad occuparla. Auspico l'apertura entro febbraio", dice all’Adnkronos Gioia Passarelli, presidente di A Roma Insieme, l'associazione che gestirà la struttura. Le utenze saranno a carico del Comune di Roma, Fondazione Poste Insieme finanzierà le attività con 150 milioni in un anno. L’arredo è donato da Ikea.

"In questa casa i bambini potranno vivere insieme alle loro mamme sottoposte alla misura degli arresti domiciliari. Indubbiamente un passo avanti ma questo non risolve il problema: bisognerebbe creare le condizioni perché mamme e bambini non siano più separati. Riflettere sul fatto che i bambini non devono scontare i reati commessi dalla mamme", sottolinea Passarelli.

Oggi negli istituti penitenziari italiani ci sono circa una quarantina di bambini (37 secondo i dati al 31 dicembre 2016 forniti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria), la maggior parte sono stranieri, figli di Rom, che non avendo fissa dimora non possono accedere agli arresti domiciliari.

Dove sono presenti gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam) - solo a Torino, Milano, Venezia e Cagliari - vivono lì insieme ai figli. Gli Icam sono istituti pensati e strutturati in modo tale da non ricordare il carcere ma si tratta pur sempre di luoghi ristretti che fanno capo all'amministrazione penitenziaria.

"Gli Icam sono un palliativo perché di fatto sono un carcere. Poniamo che durante la notte un bambino si senta male e debba essere trasferito in ospedale, la mamma non può seguirlo. Diverso il discorso per la case famiglia protetta", sottolinea Passarelli che abbracciando la battaglia di Leda Colombini continua a lottare perché sia resa "meno drammatica la condizione dei bambini in carcere". Perché "la detenzione di un bambino da 0 a 3 anni - dice - è assolutamente inconcepibile oltre che insopportabile". A quell'età "i piccoli formano la propria personalità e l'ambiente carcerario non risulta idoneo perché possano esplorare liberamente. Conoscere".

A Rebibbia ci sono attualmente 10 mamme detenute: ogni sabato i volontari di A Roma Insieme vanno a prendere i loro bambini e li portano ad esplorare la normalità del mondo fuori. Le mamme nel frattempo hanno dei colloqui con gli psicologi di sostegno o si dedicano a qualche attività. "Dalla musica alla lettura, i nostri volontari cercano di stimolare queste donne in tutti i modi possibili", spiega Passarelli.

"La casa famiglia protetta è una soluzione da privilegiare" anche secondo Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre, la onlus che, insieme al ministro della Giustizia Andrea Orlando e alla Garante dell'Infanzia Filomena Albano, ha sottoscritto a settembre scorso il rinnovo per altri due anni del protocollo d'intesa 'Carta dei figli di genitori detenuti', avviato il 21 marzo 2014.

"Si tratta di un documento unico in Europa - spiega Sacerdote - che dà molta forza alle associazioni, come la nostra, che si occupano di bambini in carcere. Stimola la ricerca di nuovi interventi per rafforzare il legame affettivo tra genitore detenuto e figlio. Dà indubbiamente visibilità ai tanti minorenni che vivono la realtà carceraria tutelando i loro diritti".

Parlando della legge 62, Sacerdote ricorda "che è nata con l'obiettivo di far uscire i bambini dal carcere; ha liberato lo Stato dall'onere economico per la gestione delle Case famiglie protette e ha delegato gli enti locali ad occuparsene".

"Quindi nessuna scusa sulle risorse: se gli enti locali, come successo, dichiarano di non avere soldi per realizzare ambienti idonei per la crescita dei più piccoli, loro la responsabilità di lasciarli in carcere".

No deciso all'apertura dei nidi nelle carceri. "Sarebbero un passo indietro - commenta Sacerdote -, contrario al traguardo normativo che mira a fare uscire i bambini". Semmai Icam in una fase transitoria, sostiene, "che assicurano il legame affettivo fino al compimento del decimo anno di età del bambino". Ma l'obiettivo finale restano le Case famiglie protette. A giudizio di Sacerdote "il carcere può cambiare, deve cambiare".

Tutto sommato, secondo Alessio Scandurra, dell'associazione Antigone, anche se restano le criticità, "la legge sta funzionando: c'è uno sforzo importante da parte degli operatori della legislazione a tendere di non far entrare mamme e figli in carcere". Che il legame affettivo nei primi anni di età, secondo norma, non sia spezzato "va tenuto in considerazione, se pensiamo ai risvolti negati che comporta uno strappo". D'altronde, "le mamme che vivono i nidi delle carceri italiane il più delle volte ci stanno poco, il tempo di trovare una struttura che possa ospitarle", sottolinea Scandurra.

Perplesso sugli Icam: "si tratta comunque di una struttura detentiva non alternativa al carcere - dice Scandurra - in realtà si tende a far uscire dal circuito penale queste donne con bambini". Quindi, sono più una "sconfitta" che una risorsa. Un tema difficile, senza dubbio. Una sfida che attraversa anche il piano culturale, contro i pregiudizi, perché si può essere buoni genitori anche sbagliando nella vita.

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