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Iss: "Migranti non sono rischio per malattie infettive"

Gli esperti: "Ciò che va più tenuto sotto controllo è l’aumentato rischio di esposizione alle infezioni tra i migranti stessi, ovvero all’interno delle loro comunità"

(Fotogramma)
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08 aprile 2021 | 16.27
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"I migranti non costituiscono un rischio infettivo rilevante per la salute pubblica della popolazione ospitante". Sono le conclusioni del compendio basato sulla letteratura scientifica disponibile sull’argomento, guidato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) in collaborazione con esperti internazionali, e pubblicato sulla 'Oxford Research Encyclopedia of Global Public Health'. "Ciò che va più tenuto sotto controllo - avvertono gli esperti - è l’aumentato rischio di esposizione alle infezioni tra i migranti stessi, ovvero all’interno delle loro comunità".

"La crescente mobilità umana, di cui la migrazione è una componente tuttavia minima, con la maggior parte dei movimenti dovuti al turismo internazionale, ai viaggi per lavoro, affari o studio e alle operazioni militari all'estero - afferma Silvia Declich, ricercatrice del Centro nazionale per la salute globale dell’Iss e responsabile del trattato - è comunque un fattore chiave della circolazione dei microrganismi. E' tuttavia all’interno delle comunità di migranti che si concretizza il rischio maggiore di malattie infettive per i migranti stessi, per un maggior rischio di esposizione e per le infezioni non rilevate e non trattate a causa dell’emarginazione e delle cattive condizioni di vita".

"Queste evidenze, ovviamente, non annullano la necessità di un'attenta sorveglianza epidemiologica - avverte - specialmente quando nell'area di destinazione sono presenti vettori specifici di alcune infezioni, che potrebbero introdurre o reintrodurre alcune malattie, ma non evidenzia prove sufficienti a stabilire un legame tra persone che migrano in Paesi ad alto reddito e aumento, in quest’ultimi, di determinate infezioni".

Il compendio ha esaminato le condizioni sanitarie di ciascuna fase dell’accoglienza, raccomandando di adattare di conseguenza, di volta in volta, gli interventi sanitari.

"Ad esempio, nella fase iniziale dell'arrivo, le principali preoccupazioni per la salute sono condizioni psicologiche, traumatiche e croniche. Successivamente - spiega il documento - le condizioni di vita affollate e poco igieniche, spesso sperimentate dai migranti nei campi e centri di accoglienza, insieme alle basse coperture vaccinali, possono facilitare la trasmissione di infezioni respiratorie o gastrointestinali o di malattie prevenibili da vaccino. Dopo l’inserimento nella società, sebbene i migranti sono in genere più sani delle popolazioni ospiti, le infezioni non rilevate e la mancanza di accesso all'assistenza sanitaria a causa dell'emarginazione sociale possono portare alla riattivazione o alla progressione di infezioni come la tubercolosi, l'epatite virale, l'Hiv e l'elmintiasi cronica".

“Questi esiti potrebbero essere prevenuti – conclude l’esperta - attraverso l’identificazione precoce e l’accesso al trattamento. Inoltre, interventi preventivi prima di viaggi per visite a parenti e amici nei paesi di origine che aumentino la consapevolezza dei possibili rischi infettivi, quali la malaria o l’epatite A, sono fondamentali per diminuire le infezioni legate al viaggio, specialmente nel caso di viaggi con bambini. I sistemi sanitari 'migrant-friendly' che assicurano un rapido accesso alla diagnosi e al trattamento, così come ai servizi di prevenzione, indipendentemente dallo status legale, sono i migliori interventi per limitare il peso e la trasmissione delle infezioni in questa popolazione e nelle popolazioni locali".

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