Redouane (Centro Islamico Roma) all’Adnkronos: "Da responsabili dobbiamo prima garantire la sicurezza dei fedeli". Oggi la firma del Protocollo col governo per il via libera al culto delle confessioni a-cattoliche dal 18 maggio
Le moschee nel Paese dal 18 maggio possono riaprire con l’ok del governo ma la Grande Moschea di Roma resterà chiusa. "La preghiera è un dovere, ma da responsabili dobbiamo garantire prima di tutto la sicurezza dei fedeli e dei cittadini e dopo attente considerazioni ci siamo accorti che non è possibile al momento attuale riaprire", spiega all’Adnkronos Abdellah Redouane, segretario generale del Centro Islamico Culturale di Roma.
Redouane ricorda che questa linea prudenziale è condivisa anche da altri centri: "Anche i centri islamici in Spagna hanno preso la nostra decisione nonostante l’autorizzazione del governo al culto. Poi la Mecca, Medina, tutti i paesi islamici continuano a mantenere le moschee chiuse perché rischiano di trasformarsi in focolai. Dal momento che non si possono osservare con scrupolosità le misure, è meglio procrastinare la chiusura".
Il segretario generale del Centro Islamico di Roma ripercorre la firma del Protocollo col governo avvenuta oggi per il via libera al culto delle confessioni a-cattoliche: "Abbiamo firmato un protocollo che prevede una serie di misure. Abbiamo fatto valutazioni e simulazioni e ci siamo resi conto che non è possibile al momento attuale riaprire. Il nostro consiglio di amministrazione ha deliberato di non aprire fino a fine maggio poi si vedrà come evolverà la situazione. Anche se la nostra è una mega struttura è impossibile osservare scrupolosamente le norme quindi per senso di responsabilità la moschea di Roma resta chiusa fino a data da destinarsi".
Il segretario generale del Centro islamico di Roma parla di "confronto sincero e franco col governo. Dal primo incontro abbiamo espresso perplessità’ sulla riapertura delle moschee perché le nostre strutture non possono essere trattate con analogie per esempio con le chiese cattoliche. Penso alle piccole strutture: non garantiscono l’entrata e l’uscita diversa per i fedeli. Evitare gli assembramenti poi è un imperativo".
Redouane osserva ancora che "troppo spesso si dimentica che abbiamo anche una responsabilità penale. La preghiera collettiva è condizionata non solo dalla distanza di sicurezza ma anche dalla sanificazione dopo ogni preghiera. Al di là dei costi che sarebbero insostenibili, quello che cerchiamo di fare è di minimizzare il rischio contagio e di massimizzare la protezione. La nostra dunque è una scelta deliberata per salvare il salvabile. La preghiera è un dovere ma si può fare a casa individualmente".