"Ho avuto paura, perdi gusto e olfatto. La mia compagna non è medico ma ha avuto intuito e a lei va il merito di avermi obbligato ad andare all’ospedale Sacco"
di Lucia Scopelliti
"La paura più grande? Non sapere come andrà". Angelo Marzano, 57 anni, è fra i primi pazienti italiani a cui è arrivata la diagnosi più temuta: positivo, Covid-19. Era il 23 febbraio, i giorni in cui il 38enne arrivato in condizioni gravi all’ospedale di Codogno svelava all’Italia la presenza del nuovo coronavirus. Marzano è il dermatologo del Policlinico di Milano che è stato ricoverato all’ospedale Sacco e oggi è a casa, guarito con tampone negativo, ma ancora in isolamento.
"Non ho avuto grossi sintomi respiratori, ma è stata lunga - racconta all’AdnKronos Salute - L’incertezza è una grossa fonte di preoccupazione e di stress estremo: non poter prevedere quale sarà per te l’andamento della Covid-19", una minaccia insidiosa e molto variabile nelle sue espressioni. "Per esempio io ho notato una manifestazione che trovo molto caratteristica e che persiste tuttora, a distanza di settimane: la riduzione della percezione di gusto e olfatto".
Quando i medici gli hanno comunicato che per lui cominciava la battaglia contro un virus che sembrava così lontano dall’Italia, "la considerazione che mi hanno fatto è stata: ‘lei ha frantumato ogni criterio epidemiologico’. Non avevo un legame con la Cina, né con quella che per prima in Italia è stata definita zona rossa, cioè il Lodigiano. Ero stato all’estero, ma in Grecia e in Germania. E non è escluso che io possa essermi infettato proprio in territorio tedesco. Non lo sapremo mai. Certo, pochi giorni dopo la compagnia aerea Lufthansa mi ha comunicato via email che due file davanti a me c’era una persona infetta".
"A parte il triste primato dei criteri epidemiologici infranti, il sospetto che non si trattasse di normale influenza mi è venuto per i viaggi recenti e per motivi legati alla mia attività professionale", spiega lo specialista. Cruciale è stata "la mia compagna. Non è medico ma ha avuto intuito e a lei va il merito di avermi obbligato ad andare all’ospedale Sacco. Anche perché il mio rischio poteva essere considerato generico, e all’inizio questo erroneamente mi rassicurava. Poi abbiamo visto cosa è successo. Lei mi è stata tantissimo vicina, potevo solo salutarla attraverso il vetro durante il ricovero".
"I miei figli, Federica di 16 anni e Stefano di 11, li sentivo e vedevo con lo smartphone - racconta - Mi dicevano di tenere duro. Erano preoccupati e quando sentivano qualche notizia non bella in tv o dai nostri discorsi fra adulti, drizzavano le antenne. Sono molto maturi e intelligenti". Marzano è professore a contratto alla Scuola di specializzazione in dermatologia e venereologia dell’università Statale di Milano. Fra i suoi contatti diretti anche due giovani specializzandi risultati positivi, ma "per fortuna in una forma blanda".
"La mia storia è consolante, perché siamo qui a parlarne", sottolinea e il pensiero va anche ai pazienti, anche suoi coetanei, che sono stati meno fortunati. Durante il decorso, il camice bianco ha potuto conoscere "molto da vicino" il nuovo virus e ha provato a guardarlo "con gli occhi di un medico, anche se è difficile staccarsi dal fatto di essere dentro in prima persona a un qualcosa di molto impegnativo".
I sintomi sono stati all’inizio febbre, tosse, naso che cola. "Poi ho avuto due momenti critici - dice Marzano - Il primo intorno a martedì 25 febbraio: un’iperproduzione di citochine, molecole infiammatorie, a cui si lega un rialzo termico. I colleghi del Sacco sono stati bravissimi, avevano formulato una possibile interpretazione di questo fenomeno infiammatorio che arriva fra la quinta e l’ottava giornata di malattia". L’altro momento che ha spaventato il dermatologo dell’Irccs di via Sforza "è stato il 4 marzo, quando è subentrata un’interstiziopatia polmonare, pur in assenza di grossi sintomi respiratori. La lastra alla dimissione per fortuna ha mostrato un miglioramento".
Altra particolarità di Covid-19 "è stata l’esantema al tronco: ero ricoperto di micro-vescicole che sono andate via da sole nel giro di una settimana. Questo, mi hanno spiegato gli infettivologi, non è molto comune, ma lo ritengo caratteristico. Sembrava una simil varicella - racconta Marzano - Colpisce, comunque, l’estrema variabilità della risposta dell’organismo a questa infezione, spetta ai virologi indagare il perché".
Anche le cure sono state impegnative: la combinazione di due antivirali che si usano per l’Hiv, "che ho sofferto in modo particolare, e l’antimalarico idrossiclorochina. Terapie che avevano mostrato evidenze in studi in vitro e nelle prime esperienze cinesi". Dopo questi momenti difficili, conclude il medico, la "gioia del primo tampone con verdetto negativo". Virus sparito. "Ho festeggiato da solo, ovviamente, e in maniera sobria perché ero ancora in ripresa", sorride. "Ma ricordo il momento più bello: la prima doccia quando sono rientrato a casa. La doccia più bella della mia vita".