Le frasi fatte per comunicare con i nativi digitali dovrebbero lasciare spazio a un dialogo aperto
Il digital divide tra generazioni cresce e, per quanto i genitori provino a stare al passo, i bambini di oggi sono ben più che nativi digitali. Il loro modo di rapportarsi con la tecnologia plasma la loro relazione con il mondo: mentre la generazione dei genitori ancora dibatte sul concetto di “screen time” - e cioè quanti minuti o ore al giorno di device sono tollerabili o concessi - per loro il concetto è semplicemente inconcepibile: non hanno mai sperimentato un mondo senza schermi.
L’ex presidente del dipartimento di educazione tecnologica statunitense Richard Culatta ha spiegato in un suo recente articolo come modificare il nostro approccio a bambini e device, sostituendo le frasi fatte che ci si trova a ripetere troppo spesso con un dialogo aperto che punti alla qualità più che alla quantità dello “screen time”, riducendo l’isolamento tecnologico e trovando nuovi modi di fruizione che bilancino meglio la vita on e off screen. Dire “stai giocando da troppo allo stesso gioco”, ad esempio, è un’affermazione riduttiva che non arriva al cuore del problema. Se nostro figlio stesse guardando un film da oltre due ore, ad esempio, avremmo da ridire sulla durata? Dobbiamo arrivare a capire cos’è che ci disturba del tempo passato con un videogame: probabilmente la qualità del gioco scelto, ed è di quello che dovremmo parlare piuttosto che porre dei limiti di tempo.
Anche “Smetti di stare tutto il giorno fermo al pc e leggi un libro piuttosto” può sembrarci un’affermazione lineare, e invece per una generazione interamente digitale ha poco senso. Prima di tutto perché i libri non hanno come unico mezzo di fruizione la carta, e quindi quel tempo passato davanti allo schermo potrebbe essere anche di lettura, per quel che ne sappiamo. E poi perché proporre di sostituire un’attività statica con una altrettanto statica non va alla radice del problema. Anche qui bisogna lavorare per far capire perché il tempo passato al computer ci sembra sbilanciato rispetto a quello trascorso facendo altro. Assicurarsi che ci sia del tempo dedicato alla lettura durante la giornata, su supporti digitali o analogici, e dell’altro tempo per le attività fisiche, evita di colpevolizzare il device e lo inserisce all’interno di un range di attività quotidiane.
Oppure un grande classico di chi ha figli adolescenti: “metti giù il telefono e interagisci con gli altri”. Ridicolo per chi sta usando proprio lo smartphone per interagire con un numero e una varietà di persone impensabili in un mondo analogico. Anche qui bisogna capire cos’è che ci fa percepire uno sbilanciamento e ci fa sentire il bisogno di intervenire. Dire piuttosto “Anche la tua famiglia vorrebbe passare del tempo con te” oppure “Non sarebbe bello vedere gli amici dal vivo di tanto in tanto” aiuta a spostare il focus e rendersi conto se realmente il tempo passato al telefono compromette i rapporti sociali “reali” o se è invece solo un elemento aggiuntivo. Quello che importa di più alla fine, spiega Richard Culatta, è trovare un equilibrio condiviso in famiglia sui e tempi e sui modi di utilizzo dei device, e anche e soprattutto con un confronto sulla tipologia di contenuti.